Strage di Capaci, 30 anni dopo resta il mistero della previsione di Sbardella: "Ci sarà un botto esterno"
A 30 anni dalla strage di Capaci resta il mistero della previsione del deputato della corrente andreottiana della Dc, Vittorio Sbardella: cosa disse
23 maggio 1992, ore 17:58, chilometro 5 della A29, all’altezza dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine. Cinque quintali di tritolo fanno saltare in aria la macchina su cui sta viaggiando il giudice Giovanni Falcone, insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti che li stanno scortando: Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. Sono passati 30 anni da quel giorno, ma resta ancora un mistero: la previsione del deputato Vittorio Sbardella, della corrente andreottiana della Democrazia cristiana, che attraverso una piccola agenzia giornalistica a lui vicina (‘Repubblica’, ma non si tratta ovviamente del ben più noto quotidiano) aveva di fatto anticipato l’attentato.
- Il contesto: l'elezione del presidente della Repubblica
- La previsione di Sbardella
- Capaci, 30 anni dopo: cosa sappiamo
Il contesto: l’elezione del presidente della Repubblica
A circa 450 chilometri da Capaci, in linea d’aria, a Roma va in scena una crisi politica: il Parlamento non riesce a eleggere il nuovo presidente della Repubblica.
Siamo arrivati a 15 scrutini e 15 fumate nere, quindici scrutini e quindici fumate nere.
Dopo il 15° scrutinio, il 23 maggio arriva la notizia della strage: è l’elemento che di fatto mette fuori dai giochi Giulio Andreotti.
Al 16° scrutinio, con 672 voti su 1.002, viene scelto Oscar Luigi Scalfaro.
La previsione di Sbardella
Ma cosa c’entra l’elezione del presidente della Repubblica con la previsione di Vittorio Sbardella?
Sbardella è un membro della corrente andreottiana della Democrazia cristiana.
Il 21 maggio, attraverso un’agenzia stampa a lui vicina, ‘Repubblica’ (che non è collegata al quotidiano), lo ‘squalo’ (questo il soprannome di Sbardella) rilascia un commento che paragona lo stallo che si è creato in Parlamento alla situazione politica del 1978, quando il leader della Dc Aldo Moro era stato rapito e ucciso dalle Brigate Rosse.
Il giorno dopo, il 22 maggio, manda un secondo articolo che ipotizza ancora un evento tragico: “I partiti senza una strategia della tensione che piazzi un bel botto esterno come ai tempi di Moro non potrebbero accettare di auto delegittimarsi”.
Capaci, 30 anni dopo: cosa sappiamo
I processi hanno stabilito che:
- ad azionare il telecomando a distanza, quello che ha fatto saltare in aria l’autostrada, è stato Giovanni Brusca, l’uomo che tra l’altro uccise e sciolse nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito;
- il 26 settembre 1997 il processo agli esecutori dell’attentato si conclude con 24 ergastoli e pene inferiori per cinque collaboratori (Salvatore Cancemi, Mario Santo Di Matteo, Calogero Ganci, Gioacchino La Barbera, Giovan Battista Ferrante). In appello si aggiungeranno altri cinque ergastoli, ma dopo due annullamenti la Cassazione definirà i giudizi confermando la responsabilità di Totò Riina, Bernardo Provenzano, Francesco e Giuseppe Madonia, Pippo Calò, Pietro Aglieri e gli altri componenti della ‘cupola’;
- uno dei processi celebrati a Caltanissetta ha messo a fuoco il ruolo di Matteo Messina Denaro che il 21 ottobre 2020 è stato condannato all’ergastolo. Decisivo, secondo i giudici, sarebbe stato il suo sostegno al piano criminale elaborato dagli uomini di Riina;
- prima della sentenza su Messina Denaro, il 21 luglio 2020 la Corte d’assise d’appello di Caltanissetta conferma la condanna all’ergastolo di altri quattro imputati – Salvatore “Salvino” Madonia, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro e Lorenzo Tinnirello – e l’assoluzione di Vittorio Tutino. Dopo trent’anni la vicenda processuale non è ancora conclusa.