Taglio parlamentari, c'è la data per il referendum: i dettagli
Sarà il quarto referendum costituzionale confermativo della storia della Repubblica
Il Consiglio dei ministri ha deciso di indicare la data del 29 marzo per il referendum sulla riforma costituzionale per il taglio dei parlamentari. Secondo quanto riferito da Ansa, che cita il comunicato del Cdm tenutosi ieri, sarà questa la data nella quale i cittadini italiani saranno chiamati alle urne per decidere sulla riforma costituzionale.
“Il Consiglio dei ministri si è riunito lunedì 27 gennaio 2020, alle ore 17.53 a Palazzo Chigi, sotto la presidenza del Presidente Giuseppe Conte. Su proposta del Presidente Giuseppe Conte, ha convenuto sulla data del 29 marzo 2020 per l’indizione – con decreto del Presidente della Repubblica – del referendum popolare previsto dall’articolo 138 della Costituzione sul testo di legge costituzionale recante: «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari” si legge nel comunicato del Consiglio dei Ministri.
Taglio dei parlamentari, cosa prevede
La riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari riduce il numero di deputati e senatori. Alla Camera ci sarebbe una riduzione di 230 deputati, passando dagli attuali 630 a 400. In Senato, invece, si passerebbe dagli attuali 315 senatori a 200.
L’istituto dei senatori a vita è conservato fissandone a 5 il numero massimo, finora 5 era il numero massimo che ciascun presidente poteva nominare.
Riduzioni anche per gli eletti all’estero: i deputati votati e scelti dalle circoscrizioni estere scenderanno da 12 a 8, mentre per i senatori si passerà dagli attuali 6 a 4.
I precedenti referendum costituzionali
Secondo quanto sottolineato da Ansa quello del prossimo 29 marzo sarà il quarto referendum costituzionale confermativo della storia della Repubblica. Nei tre precedenti, due volte la legge approvata dal Parlamento senza la maggioranza dei due terzi è stata respinta dagli elettori, una sola è stata approvata ed è diventata legge costituzionale.
Il primo è quello del 7 ottobre 2001 quando si tenne il referendum per confermare o no la riforma del Titolo V della Carta, approvata dalla maggioranza dell’Unione negli anni dei governo Prodi, D’Alema e Amato: passò con il 64,2% di voti favorevoli anche se l’affluenza si fermò poco oltre il 34%.
Il secondo caso di referendum confermativo, 25-26 giugno 2006, riguardò la riforma costituzionale varata dal governo Berlusconi (su ispirazione della Lega di Bossi e con Calderoli ministro delle Riforme): la cosiddetta ‘devolution‘ fu bocciata con il 61% mentre i votanti raggiunsero il 52%.
Il 4 dicembre 2016 fu la volta del terzo referendum costituzionale nella storia repubblicana: la maggioranza dei votanti respinse il disegno di legge costituzionale della riforma Renzi-Boschi, approvata in via definitiva dalla Camera ad aprile 2016 e che puntava tra l’altro a superare il bicameralismo perfetto ai danni del Senato. A dire no fu il 59,11%, contro il 40,89% di sì. I votanti però furono record, quasi il 69%. La prima conseguenza politica furono le dimissioni del governo Renzi.