Ostetrica di Brescia sbaglia nel travaglio e causa danni al bimbo: paralisi cerebrale, risarcirà l'azienda
Un'ostetrica dovrà risarcire l'azienda sociosanitaria per cui lavorava con mezzo milione di euro
Caso di malpractice a Brescia terminato con una sentenza che ha sancito che un’ostetrica dovrà risarcire con mezzo milione di euro l’Asst Franciacorta, azienda sociosanitaria per cui lavorava.
- Il maxi risarcimento alla famiglia del bimbo
- La ginecologa assolta, l'ostetrica condannata
- I giudici: "Si potevano evitare i danni permanenti al nascituro con un parto cesareo tempestivo"
Il maxi risarcimento alla famiglia del bimbo
La vicenda è datata 2015. Secondo quanto ricostruito in sede giudiziaria e come raccontato dal Corriere della Sera, un’ostetrica sbagliò ad interpretare il monitoraggio della frequenza cardiaca provocando a un bambino gravi danni permanenti.
I giudici della sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia della Corte dei Conti, con una sentenza emanata il 14 febbraio scorso, hanno riconosciuto la responsabilità sanitaria per colpa grave nei confronti di un’ostetrica dell’Asst Franciacorta. Da qui la condanna: la donna dovrà ora risarcire l’azienda sociosanitaria con 500mila euro.
Il caso si è verificato nel presidio ospedaliero di Chiari. Durante il parto il bambino restò per lungo tempo senza ossigeno, fatto che gli provocò una paralisi celebrale. Tre anni dopo, l’Asst sottoscrisse con il padre e la madre del bimbo un atto di transazione del sinistro, convalidato dal Giudice Tutelare. La questione si risolse con l’azienda che corrispose 1 milione e mezzo di euro alla famiglia, la quale nel frattempo ritirò la querela nei confronti dei sanitari.
La ginecologa assolta, l’ostetrica condannata
Dopo che fu effettuato il risarcimento, l’azienda spedì una segnalazione alla Corte dei Conti. Quest’ultima citò in giudizio la ginecologa e l’ostetrica di turno. Al termine delle indagini sulla vicenda, ecco la sentenza: la sezione giurisdizionale decise per l’assoluzione della ginecologa e la condanna dell’ostetrica.
Quel giorno, secondo quanto emerso in sede giudiziaria, a partire dalle 21 il tracciato dell’attività cardiaca fetale rivelava nitidamente una frequenza di categoria II, ossia una frequenza che può svilupparsi in una sofferenza del feto. La ginecologa di guardia praticò l’amnioinfusione – la somministrazione di soluzione salina per ridurre le decelerazioni variabili ripetitive – riuscendo a ripristinare i parametri e portandoli alla normalità.
La situazione, dopo l’intervento della ginecologa, era “rassicurante” e non era più necessaria la presenza costante del medico poiché il monitoraggio del travaglio spettava all’ostetrica. Tutte le perizie sono d’accordo sul fatto che a partire dalle 22:23 il tracciato del battito cardiaco manifestava di nuovo caratteristiche preoccupanti.
“In base alla normativa era dunque preciso dovere dell’ostetrica – scrivono i giudici – rilevare la mutata situazione e segnalarla prontamente al medico di guardia. Nulla di ciò metteva invece in pratica l’ostetrica”. Anzi nella cartella clinica annotava – per ben tre volte in un’ora – “cardiotocografia rassicurante”.
“È quindi evidente – si legge sempre nella sentenza – che l’ostetrica, errando in modo macroscopico nella lettura del tracciato ctg definito chiaro da tutti i consulenti, non si è accorta del peggioramento delle condizioni del feto ed ha omesso di avvertire la ginecologa, come previsto dal protocollo e dalle normativa sanitaria”.
I giudici: “Si potevano evitare i danni permanenti al nascituro con un parto cesareo tempestivo”
Il giudizio errato o la sottovalutazione circa il peggioramento della situazione, e la mancata richiesta di intervento della ginecologa, “costituiscono indubbiamente omissioni gravemente colpose dalle quali è derivato il danno permanente al nascituro”.
Il danno permanente al bimbo si sarebbe potuto evitare se si fosse deciso con tempestività per un parto cesareo entro le 23:45. Ma solo a quell’ora l’ostetrica ha richiesto l’intervento, senza urgenza, della ginecologa.