Nella Costituzione c'è la parola "minorato" e Treccani propone di toglierla: cosa c'è scritto nell'articolo 38
La presenza in un articolo della Costituzione della parola "minorato" ha spinto l'Istituto Treccani a chiedere che venga cambiata con un termine adatto
Nella Costituzione c’è la parola “minorato” e Treccani propone di toglierla. Secondo l’Istituto il linguaggio utilizzato nell’art. 38 è “coerente con la mentalità dell’epoca ma non più conforme, oggi, allo spirito e alle finalità proprie della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità”.
- "Minorato" nella Costituzione: la richiesta della Treccani
- L'articolo 38 e la proposta: togliere la parola incriminata
- Le reazioni
“Minorato” nella Costituzione: la richiesta della Treccani
Iniziativa dell’Istituto Treccani che ha proposto di eliminare la parola “minorato”, presente nell’articolo 38 della Costituzione Italiana. Tale espressione viene ritenuta inaccettabile, non rispettosa e offensiva: si invita anche in questo modo a superare espressioni lessicali discriminatorie.
Secondo l’Enciclopedia insomma termini del genere potevano essere accettati all’epoca in cui la Costituzione fu scritta, ma non più oggi.
Fonte foto: Ansa
L’articolo 38 e la proposta: togliere la parola incriminata
L’articolo 38 “incriminato” recita: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L’assistenza privata è libera”.
Proprio l’espressione “minorato” ha dato il là a questa proposta di cambiamento. Elena Vivaldi, professoressa di diritto costituzionale presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, ha curato la voce “Disabilità” della nuova Appendice XI dell’Enciclopedia Italiana Treccani e, in essa, ha ricostruito la storia della diversità che viene considerata oggi come ricchezza.
Per farlo serve anche utilizzare un linguaggio che tuteli tutte le persone con disabilità, essendo la disabilità una delle possibilità in cui la dimensione umana si esplica, e riesca ad attuare l’eguaglianza sostanziale e a eliminare le situazioni di svantaggio che non assicurano alle persone con disabilità pari opportunità.
Le reazioni
La proposta è stata accolta con favore dalla ministra per le Disabilità, Alessandra Locatelli. “Si tratta di un’iniziativa importante che va nella direzione che abbiamo iniziato a percorrere nel decreto 62 del 2024 con l’abolizione da tutte le leggi ordinarie del nostro Paese dei termini ‘handicappato‘, ‘portatore di handicap‘, ‘diversamente abile‘, per sostituirli con ‘persone con disabilità‘. Credo che i tempi siano maturi anche per modificare l’articolo 38 della nostra Costituzione, eliminando il termine ‘minorato‘, che è superato e non più accettabile“, ha detto ad Adnkronos.
Le fa eco il presidente onorario dell’Accademia della Crusca, Claudio Marazzini, che poi aggiunge: “Il rilievo dell’Enciclopedia Treccani è indiscutibilmente vero e non si può non sottoscriverlo. Ognuno usa le parole del suo tempo, per forza di cose, volente o nolente. Sta di fatto che i Padri costituenti (oggi anche ‘padri e madri’, secondo alcuni), con le parole del loro tempo hanno introdotto cambiamenti radicali nella vita civile. Speriamo che i revisori di parole di oggi riescano a incidere sulla realtà almeno con la stessa efficacia, visto che i cambiamenti linguistici da soli non bastano, anzi spesso sono un modo per far bella figura a buon mercato. E soprattutto speriamo che non si torni anche in questo caso alla proposta di ritoccare ‘alla moderna’ le parole della Costituzione”. Anche Giuliano Amato, presidente emerito della Corte costituzionale e due volte presidente del Consiglio dei ministri, è intervenuto sul tema: “La nostra è una Costituzione che si è rivelata capace di reggere al passare degli anni, ma questo è uno dei punti sui quali è più prigioniera della cultura del suo tempo. Qui sarebbe davvero meglio togliere quel termine“, ha detto.
Infine questo il parere del professor Andrea Simoncini, ordinario di Diritto Costituzionale all’Università degli Studi di Firenze. “L’assunto è senza dubbio condivisibile: le parole sono indicatori dell’uguaglianza. Possono stigmatizzare le differenze come patologie o ricordarci la ricchezza della nostra stessa umanità che si manifesta in tantissime forme, tutte ugualmente umane. Non vorrei però che questa pur giusta richiesta ottenesse un effetto paradossale. Potrebbe accadere, infatti, che, concentrati sul fatto che la nostra Costituzione parla di ‘minorati’ e non di ‘disabilità’, si dimenticasse il dato straordinario: e cioè che ne parla. Vorrei ricordare che l’articolo 38 della nostra Costituzione nel 1948 ha rappresentato un unicum assoluto per le costituzioni del secondo dopoguerra proprio per questa concezione ‘personalista’ su cui si fonda e che emerge come carattere distintivo proprio in quel comma. Giusto, dunque, rilevare che la parola ‘minorato’ usata dalla Costituzione oggi appaia fuorviante e debba essere cambiata. Ma attenzione a non alimentare, quand’anche involontariamente, una percezione svalutativa nei confronti di una Costituzione che sul tema della persona e della sua dignità integrale, rappresenta ancora oggi un riferimento imprescindibile per una società a misura d’uomo e per dettare la strada ad un legislatore non sempre all’altezza”.
