Morto Simone Borin, il papà di Matilda: la bimba di 22 mesi uccisa a Roasio da un killer mai preso
È morto Simone Borin, il papà di Matilda. La bimba era stata uccisa a 22 mesi a Roasio, nel Vercellese, da un killer che non è mai stato identificato
L’omicidio della piccola Matilda è una di quelle storie che hanno scosso l’Italia. Matilda fu uccisa nell’estate del 2005 a 22 mesi da un killer mai identificato. L’infanticidio avvenne a Roasio, nel Vercellese.
Giovedì 27 ottobre è morto anche il papà di Matilda, Simone Borin, stroncato a 46 anni da una broncopolmonite.
Simone Borin era ricoverato da alcuni giorni nell’ospedale di Busto Arsizio. L’uomo aveva avuto Matilda con Elena Romani, dalla quale si era separato prima che un ignoto killer assassinasse la piccola. All’epoca dei fatti la donna aveva un nuovo compagno.
Simone Borin durante i funerali della figlia Matilda a Busto Arsizio.
L’uomo era titolare di un’impresa di pompe funebri a Busto Arsizio.
I funerali di Simone Borin
I funerali di Simone Borin si terrano alle 15:15 di lunedì 31 ottobre nella Basilica di San Giovanni a Busto Arsizio.
L’omicidio di Matilda Borin
La piccola Matilda fu brutalmente uccisa il 2 luglio del 2005. Durante l’autopsia i medici constatarono che il corpicino aveva la milza spappolata, un rene distaccato e gravi danni costali.
Si pensò immediatamente che ad ucciderla potesse essere stato un violentissimo calcio alla schiena, magari dato al culmine di un rigurgito di rabbia. Il processo fu imbastito dunque con l’accusa di omicidio preterintenzionale.
Matilda viveva in una casa colonica a Roasio con la mamma Elena Romani, la quale dopo la separazione da Simone Borin aveva un nuovo compagno, Antonino Cangialosi.
La Romani all’epoca aveva 31 anni ed era una hostess. Antonino Cangialosi, di anni ne aveva 33 anni. L’uomo ha un passato di bodyguard e ha poi trovato lavoro nel settore della logistica.
Un omicidio senza colpevoli
Dopo oltre quindici anni di indagini e processi entrambi furono riconosciuti estranei all’omicidio. Prima fu assolta la madre, e poi anche Antonino Cangialosi. All’epoca in cui il processo si concluse i due ormai avevano terminato la loro relazione.
Elena Romani si costituì parte civile contro l’assoluzione dell’ex compagno, ma la quinta sezione penale della Cassazione dichiarò inammissibile il ricorso.