Morto Simba, il bimbo di 3 anni ricoverato a causa delle sostanze tossiche assunte con il latte materno
Il piccolo era stato abbandonato in gravi condizioni dalla madre tossicodipendente e salvato dall'associazione "Casa di Matteo" di Napoli
Era ricoverato praticamente dalla nascita il piccolo “Simba”, il bambino morto oggi a 3 anni che era stato abbandonato dalla madre tossicodipendente a Napoli. Il bimbo era in gravi condizioni per aver assunto sostanze nocive dal latte materno. L’associazione “La Casa di Matteo”, struttura che ospita bambini lasciati da soli dai genitori o con gravi disabilità, lo aveva salvato e in tre occasioni lo aveva rianimato. Questa volta però non c’è stato nulla da fare. Lo riporta il Corriere della Sera.
La storia
Simba, chiamato così dal nome del cartone animato, così come tutti i bimbi accolti dalla struttura, è nato in una baracca da madre con problemi di tossicodipendenza e alcol. Grazie alla segnalazione di un assistente sociale, a soli 4 mesi viene portato all’ospedale pediatrico Santobono di Napoli, dove viene abbandonato dalla madre che con una scusa si allontana.
Il bambino era rimasto senza né padre né madre, né altri parenti stretti che lo potessero accudire.
L’intervento dell’associazione “La Casa di Matteo”
Il presidente dell’associazione “La Casa di Matteo” Marco Caramanna, racconta che a quel punto “siamo stati contattati noi ed è iniziata questa lunga storia. I medici hanno scoperto che il bambino, tramite il latte materno, aveva assunto stupefacenti perché la madre era una tossicodipendente che aveva fatto vivere il bambino, insieme con il fratellino, in una baracca di fortuna – spiega. Il neonato aveva dunque delle vere e proprie crisi d’astinenza che gli hanno causato danni neurologici e crisi epilettiche fino a dover subire prima una e poi una seconda tracheotomia per essere alimentato”.
Grazie alla vicenda di Simba, il fratellino è stato salvato in tempo e adottato.
Le cure
Gli operatori de “La Casa di Matteo” hanno assistito il bambino al Santobono per cinque mesi e per altri cinque al Bambino Gesù di Roma, per poi tornare nella struttura dell’associazione napoletana, fino all’ennesima crisi respiratoria che lo ha ucciso.
Caramanna ha spiegato al Corriere della Sera che Simba “non vedeva e non sentiva bene e noi avevamo organizzato attività sensoriali per riuscirlo a stimolare e a fargli avvertire il mondo circostante. Quando si agitava lo riuscivamo a calmare prendendolo in braccio. Sono cose che in ospedale non sarebbero avvenute perché è diverso il metodo e soprattuto i numeri da gestire”.