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Molly Russell, 14enne suicida: sentenza storica contro Instagram e Pinterest, interviene anche William

Molly Russell, sentenza storica nel Regno Unito: Instagram e Pinterest tra le cause del suicidio

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Sentenza storica nel Regno Unito: il coroner Andrew Walker ha scritto che i contenuti di social media come Instagram e Pinterest sono tra le cause della morte di Molly Russell, ragazza che nel 2017 si è tolta la vita a 14 anni dopo aver visto in rete migliaia di post su suicidio, depressione e autolesionismo.

La conclusione di Walker è che il suicidio è stato “un atto di autolesionismo” di Molly che “soffriva di depressione e degli effetti negativi dei contenuti online”.

L’intervento del Principe William

Sulla vicenda è intervenuto anche William, il Principe di Galles. Così il reale attraverso un comunicato: “Nessun genitore dovrebbe mai sopportare ciò che la famiglia Russell ha passato. Sono stati incredibilmente coraggiosi. La sicurezza online per i nostri bambini e giovani deve essere un prerequisito, non un aspetto secondario”.

La vicenda di Molly Russel

La sera del 20 novembre 2017 Molly e la sua famiglia hanno cenato insieme nella casa di famiglia a Harrow, quartiere a nord-ovest di Londra. Come tante altre volte si sono poi messi a guardare la tv. “Il comportamento di tutti era normale”, ha spiegato Janet, la madre di Molly.

La mattina dopo, alle 7, la donna trovò la figlia morta, nella sua camera. Nessuno aveva compreso fino a che punto la depressione l’aveva colpita.

“Il più cupo dei mondi”, ha detto Ian Russell, padre di Molly, in riferimento ai ‘viaggi’ online della figlia. “Un mondo che non riconosco. È un ghetto del mondo online, una volta che cadi dentro l’algoritmo non puoi sfuggirgli, continua a consigliarti più contenuti”.

A udienza conclusa, venerdì scorso, Ian ha aggiunto: “È tempo di proteggere i nostri giovani innocenti invece di consentire alle piattaforme social di dare priorità ai loro profitti, facendo soldi sul dolore dei ragazzi”.

Da quanto emerso dall’inchiesta, si comprende rapidamente quanto l’algoritmo dei social sia stato pervasivo.

Molly, negli ultimi sei mesi della sua vita, ha piazzato like, salvato o condiviso contenuti di 2.100 post che trattavano il tema della depressione, del suicidio e dell’autolesionismo su Instagram.

In sei mesi, sono stati solo 12 i giorni in cui non ha visionato alcun contenuto nocivo sulla piattaforma di proprietà di Meta. I social media hanno “aiutato a uccidere mia figlia”, ha dichiarato in maniera perentoria il padre di Molly.

Il coroner Andrew Walker ha usato termini meno netti, parlando di “probabilità”. Sono comunque parole storiche.

Ha dichiarato che le immagini di autolesionismo e suicidio che Molly ha visto “non avrebbero dovuto essere a disposizione di un bambino” e ha spiegato come gli algoritmi di Instagram e Pinterest abbiano portato la ragazza a “periodi di binge watching” (abbuffata) di questi materiali.

“È probabile che questi periodi abbiano avuto un effetto negativo su Molly – ha aggiunto Walker -. Alcuni di questi contenuti hanno romanzato atti di autolesionismo da parte di giovani. Altri hanno cercato di scoraggiare la discussione con coloro che avrebbero potuto dare un aiuto. In alcuni casi, il contenuto era particolarmente realistico, impressionante, e ritraeva il suicidio come una inevitabile conseguenza di una condizione da cui non è possibile uscire”.

Quindi la conclusione: “È probabile che il materiale visto da Molly, già affetta da una malattia depressiva e vulnerabile a causa della sua età, abbia influenzato la sua salute mentale in modo negativo e abbia contribuito alla sua morte in modo non secondario”.

La reazione dei dirigenti di Meta e Pinterest

Alle udienze hanno partecipato dirigenti di Pinterest e Instagram. Il responsabile delle operazioni della community di Pinterest, Judson Hoffman, ha ammesso che Pinterest “non era sicuro” quando Molly lo ha usato e ha detto che “rimpiange profondamente” che abbia potuto vedere alcuni dei contenuti incriminati.

Sentenza contro Meta

La responsabile della Salute e benessere di Meta, Elizabeth Lagone, ha spiegato che i post sotto accusa da parte della famiglia Russell erano “sicuri”, ma ha ammesso che una serie di post mostrati nel corso del procedimento avrebbero violato le politiche di Instagram. Inoltre Molly si era iscritta al social a 12 anni, quando l’età minima è 13 anni.

william-meta Fonte foto: ANSA
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