Matteo Messina Denaro, cos'è e come funziona il 41 bis: cosa prevede il regime del carcere duro
Cos'è e come funziona il 41 bis, il regime del carcere duro disposto per il boss mafioso Matteo Messina Denaro
Dopo 30 anni di latitanza, in seguito alla cattura da parte dei carabinieri Matteo Messina Denaro è stato rinchiuso nel carcere dell’Aquila. L’ultimo padrino di Cosa nostra del periodo stragista è detenuto in regime di 41 bis, il cosiddetto “carcere duro”. Ma cosa prevede e come funziona il regime del 41 bis?
- Che cos'è il 41 bis
- Quando è nato il regime del 41 bis
- Cosa prevede il regime del carcere duro
- Come vive un detenuto in regime di 41 bis
Che cos’è il 41 bis
Con 41 bis si indica uno speciale regime carcerario previsto per i detenuti, condannati o in attesa di giudizio, incarcerati per reati di mafia, terrorismo ed eversione. Nei fatti il regime del carcere duro è una sospensione del normale trattamento penitenziario.
Un regime che era stato introdotto come “misura di emergenza temporanea” dopo le stragi mafiose di Capaci e di via D’Amelio ma che è poi entrato stabilmente nel sistema penitenziario italiano.
Quando è nato il regime del 41 bis
Il regime del 41 bis è una disposizione dell’ordinamento penitenziario italiano che è stata introdotta nel 1986 con la legge n.663, la ‘Legge Gozzini’, dal nome del suo promotore. La norma ha introdotto un particolare regime di reclusione che sospende l’applicazione delle normali garanzie e trattamenti penitenziari in determinati casi di emergenza o necessità.
Il regime 41 bis così come lo conosciamo è stato introdotto nel 1992 all’indomani delle stragi di mafia in cui furono uccisi i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Con il d.l. 306 del 1992 è stato esteso ai membri delle organizzazioni mafiose l’ambito di applicazione dell’articolo 41 bis della legge Gozzini.
La misura sarebbe dovuta essere temporanea, legata a quel particolare periodo storico, ma è poi entrata stabilmente nel sistema penitenziario italiano.
Cosa prevede il regime del carcere duro
Il 41 bis è nato con l’intenzione di interrompere ogni tipo di legame e forma di comunicazione tra il detenuto e l’organizzazione criminale alla quale apparterrebbe. Il regime del carcere duro si applica ad una serie di reati in materia di organizzazioni criminali, terrorismo, anche internazionale, ed eversione dell’ordine democratico.
Il 41 bis prevede una serie di limitazioni e restrizioni imposte ai detenuti in regime di carcere duro e misure di sicurezza aggiuntive. Dal 2009 è possibile applicare il regime del 41 bis ad un detenuto per quattro anni, prorogabile per altri due anni.
Il carcere duro può essere revocato solo in due modi: alla scadenza del termine, senza che sia disposta la proroga, o su disposizione del tribunale di sorveglianza di Roma, l’unico che può pronunciarsi a riguardo.
Come vive un detenuto in regime di 41 bis
I “ristretti” al 41-bis vengono posti in isolamento, allontanati dagli altri detenuti, in celle singole sorvegliate con telecamere 24 ore al giorno, tranne in bagno, per questioni di privacy. Non hanno accesso agli spazi comuni del carcere e hanno a disposizione due ore al giorno di socialità all’aperto, seppur solo in gruppi di massimo quattro persone.
Hanno severi limiti ai contatti con l’esterno: possono usufruire di un solo colloquio al mese con i familiari: colloqui di un’ora che si svolgono in aree dedicate, dotate di vetri divisori per impedire il contatto fisico e videosorvegliate.
Chi non fa colloqui può essere autorizzato a una telefonata al mese di dieci minuti, che viene registrata. Tutta la corrispondenza viene sottoposta a censura, con la sola eccezione di quella con membri del Parlamento o con autorità nazionali o europee competenti in materia di giustizia.
In caso di malattia, i detenuti vengono trasferiti in strutture ospedaliere dotate di reparti speciali in cui viene assicurata l’applicazione di tutte le disposizioni di legge previste dal regime del 41 bis.