Mascherine, "8 su 10 di quelle in circolazione non funzionano"
Lo studio del Politecnico di Torino sull'efficacia dei cosiddetti dispositivi "di comunità"
Nel Dpcm del 26 aprile c’è un riferimento alle cosiddette ‘mascherine di comunità‘, ossia quelle “monouso o lavabili, anche auto-prodotte, in materiali multistrato idonei a fornire una adeguata barriera e, al contempo, che garantiscano comfort e respirabilità, forma e aderenza adeguate che permettano di coprire dal mento al di sopra del naso”. Il problema, evidenziato dal Politecnico di Torino e ripreso da Repubblica, è che 8 mascherine su 10 non funzionano.
Da quando in Italia è esplosa l’epidemia di coronavirus, l’ateneo piemontese ha iniziato ad analizzare tutti i tipi di mascherine: chirurgiche, ffp2, ffp3 e, appunto, di comunità.
Quest’ultime non sono paragonabili alle altre, tanto che non possono essere indossate – per esempio – dal personale sanitario.
Servono nella vita di tutti i giorni, quando – recita il Dpcm – “non sia possibile garantire continuativamente il mantenimento della distanza di sicurezza“.
Nelle ultime settimane, quindi, diverse aziende si sono attivate diversificando la produzione convertendola in mascherine, così da evitare la chiusura prolungata. Prima di venderle, però, sono passate dai test del Politecnico di Torino.
I risultati sono scoraggianti: 8 su 10, infatti, non risultano idonee nemmeno a proseguire con i test batteriologici che vengono effettuati a Bologna, indispensabili per ottenere una certificazione.
Il paradosso è che le aziende che hanno prodotto le mascherine di comunità hanno nel frattempo partecipato a bandi pubblici per fornirle ai cittadini attraverso il servizio sanitario, incoraggiate dalla politica per via della carenza dei dispositivi di protezione.
Ciò significa che presto, magari gratuitamente, nel Paese verranno distribuiti anche prodotti inefficaci.
“Abbiamo avviato un dialogo con l’Uni, l’ente di normazione italiano, per elaborare un metodo di prova riconosciuto, utile a concedere un marchio di qualità ai prodotti che raggiungono buoni livelli di efficienza – ha detto a Repubblica Paolo Tronville, docente di ingegneria industriale della task force di 18 docenti e ricercatori esperti del Politecnico -. Potrebbe essere utile anche alle aziende che vogliono indicazioni per realizzare prodotti di qualità”.
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