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L'Italia è il Paese con più "stazioni di polizia" cinesi: cosa ci fanno e qual è la loro funzione

Da un'indagine della ong Safeguard Defenders è emerso che in Italia si trovano 11 "stazioni di polizia" cinesi non ufficiali: ecco a cosa servirebbero a Pechino

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La Cina ha distribuito in giro per il mondo oltre 100 stazioni di polizia non ufficiali. L’Italia sarebbe il Paese con la loro maggiore presenza: se ne troverebbero ben undici dislocate lungo tutta la Penisola. Con tali strutture, che dovrebbero essere apparentemente dei semplici uffici burocratici, Pechino riuscirebbe a monitorare la popolazione cinese all’estero.

Una duplice funzione

A fare il punto della situazione è un recente rapporto dell’ong Safeguard Defenders denominato ‘Patrol & Persuade’ e pubblicato in anteprima per l’Italia dal settimanale ‘L’Espresso’. Alla lista delle 54 “stazioni di polizia cinese” di cui era stato dato conto lo scorso settembre ne sono state aggiunte altre 48, per un totale di 102.

Per quanto alcuni di questi “commissariati” non siano gestiti direttamente da Pechino, secondo Safeguard Defenders “alcune dichiarazioni e politiche iniziano a mostrare una guida più chiara del governo centrale” e sarebbero utilizzate per “attaccare, minacciare, intimidire e costringere gli obiettivi a tornare in Cina per una persecuzione”.

Rientri forzati che sarebbero legati in parte alla cosiddetta operazione “Caccia alla volpe”, che punterebbe a far rimpatriare i funzionari fuggiti all’estero per evitare accuse di corruzione in patria. Ma ci sarebbero prove di intimidazioni dirette anche a normali cittadini, di cui si sarebbero perse le tracce. Le “stazioni di polizia cinese” opererebbero al di fuori dei canali tradizionali utilizzati per l’estradizione.

Dal canto suo, Pechino ha smentito la ricostruzione della vicenda e ha affermato che si tratta solo di “stazioni di servizio” aperte per assistere i cittadini cinesi all’estero con le pratiche burocratiche, come il rinnovo del passaporto o della patente. Le persone che lavorano in queste strutture, hanno aggiunto le autorità, sarebbero volontari e non poliziotti.

La situazione in Italia

In Italia, Paese con una comunità di oltre 300mila cinesi, come detto sarebbero presenti undici stazioni. Sulla base delle ricerche di Safeguards Defenders sarebbero dislocate tra Roma, Milano, Bolzano, Venezia, Firenze, Prato e in Sicilia.

stazioni polizia cinese italiaFonte foto: IPA
Lanterne cinesi nella Chinatown di Milano

A partire dallo scorso settembre già diversi governi occidentali hanno avviato delle indagini per far luce sulla questione, tra cui Germania, Paesi Bassi e Canada.

Come raccontato dalla direttrice della ong Laura Hart a ‘Formiche.net’, “l’Italia è l’unico Paese europeo in cui la reazione alla nostra indagine è stata molto fredda“. “Sarebbe il caso – ha affermato – che il nuovo governo mostrasse la ferma volontà di cambiare passo e investigare seriamente”.

Proprio l’Italia sarebbe uno dei pochi Paesi al mondo, e l’unico del G7, ad avere una collaborazione con le forze di sicurezza cinese per pattugliamenti congiunti.

In particolare, Milano sarebbe stata usata come test per una strategia di controllo dei cinesi all’estero (secondo Safeguards Defenders in un solo anno sarebbero state costrette a tornare in Cina 210mila persone, fra cui coloro che sono stati accusati di corruzione). Proprio nel capoluogo lombardo nel 2016 sarebbe stato aperto il primo “commissariato”.

“La Cina vuole reprimere il dissenso”

Secondo la direttrice Safeguards Defenders Laura Hartas quello a cui stiamo assistendo non è altro che “un crescente tentativo della Cina di reprimere il dissenso in tutto il mondo, di minacciare le persone, di molestarle, di assicurarsi che siano abbastanza spaventate da rimanere in silenzio o da rischiare di essere rimpatriate contro la loro volontà”.

La preoccupazione per le sospette pratiche clandestine di Pechino arriva anche da Oltreoceano: recentemente il direttore dell’Fbi Christopher Wray ha dichiarato che “è scandaloso pensare che la polizia cinese tenti di insediarsi, per esempio a New York, senza un adeguato coordinamento”. “Questo viola la sovranità – ha sottolineato – e aggira i processi standard di cooperazione giudiziaria e di applicazione della legge”.

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