L'endometriosi potrebbe essere trattata con antibiotici: per uno studio è causata da un batterio, l'intervista
L'endometriosi sarebbe causata dal Fusobacterium: la patologia, che colpisce il 10% delle donne in età fertile, potrebbe trattarsi con antibiotici
Al momento si tratta di una speranza, un dato incoraggiante che porta a pensare che in un futuro non troppo lontano l’endometriosi possa trovare nuove e più efficaci terapie. Si tratta del risultato di uno studio giapponese, che ha indicato un nesso tra la presenza di uno specifico batterio e la patologia, che si presenta con cicli mestruali molto dolorosi nelle donne che ne sono affette. Si tratta di una su 10 in età fertile, in particolare nella fascia d’età compresa tra i 25 e i 35 anni. L’intervista concessa a Virgilio Notizie da Roberto Marci, professore ordinario di Ginecologia e ostetricia all’Università di Ferrara e presidente della Società italiana di riproduzione umana (SIRU).
Cosa dice lo studio
Secondo i ricercatori dell’Università di Nagoya coordinati dal professor Yutaka Kondo, che hanno collaborato con i colleghi del National Cancer Center, una delle possibili cause dell’endometriosi sarebbe il Fusobacterium.
La sua presenza emergerebbe dal campione di 155 donne affette da endometriosi: è stata riscontrata nel 64% dei soggetti.
L’intervista al ginecologo Roberto Marci
“Si tratta certamente di uno studio interessante, che fa ben sperare, anche se occorrono cautela e prudenza, sia nell’interpretare i risultati sia nel comunicarli”, commenta Roberto Marci, professore ordinario di Ginecologia e ostetricia all’Università di Ferrara e presidente della Società italiana di riproduzione umana (SIRU), ai microfoni di Virgilio Notizie.
Professor Marci, finora l’endometriosi è stata ritenuta una patologia multifattoriale. Tra i fattori si era indagato anche il ruolo dei batteri?
“Sì, esatto. Non si tratta di una novità in sé l’aver individuato un nesso tra un batterio e la sindrome. La vera notizia positiva è che, dopo aver scoperto la positività al batterio in un campione di donne, si è proseguito l’analisi in laboratorio con i topi. La somministrazione di un antibiotico ha poi permesso di ottenere una risposta positiva sugli animali”, spiega il ginecologo.
Questo significa che, se ulteriori studi confermassero i risultati, si potrebbe pensare in futuro a una nuova terapia contro l’endometriosi a base di antibiotici?
“Occorre, come detto, la massima prudenza. Come altri studi condotti finora, serviranno ulteriori approfondimenti, soprattutto su un numero maggiore di casi analizzati. Va anche detto che il fatto che il trattamento antibiotico si sia rivelato efficace sui topi è sicuramente un elemento incoraggiante, ma occorrerà verificare che ciò accada anche nelle donne affette da endometriosi. Nello stesso tempo, lo studio è interessante e il fatto che sia stato pubblicato su riviste scientifiche serie come Science Transational Medicine e Nature, ne conferma la valenza”.
Il professor Kondo ha detto che “presto verranno eseguiti test su donne affette da endometriosi per verificare la stessa risposta positiva in seguito a trattamento antibiotico” e che “un nuovo approccio alla diagnosi della malattia potrebbe in futuro rilevare la presenza del batterio responsabile già con un semplice tampone”. Quanto potrebbe volerci?
“È molto difficile poterlo prevedere. Alcune intuizioni in questa direzione c’erano state, ora è arrivata una conferma importante, ma è presto per poter dire quando per l’endometriosi si potrà eventualmente ipotizzare un trattamento antibiotico. Ad oggi potremmo ipotizzare che questo possa servire ad aiutare a bloccare la diffusione del batterio”, chiarisce Marci.
Ma di che batterio si tratta? È diffuso?
“Sì, il batterio è noto. È già presente, per esempio, nell’intestino e nel cavo orale, ma normalmente non crea particolari problemi”, conferma l’esperto della SIRU.
Quali sono le cure disponibili al momento per le donne che soffrono di endometriosi?
“Ad oggi possiamo contare principalmente su due tipi di trattamento medico: quello con la pillola anticoncezionale, che offre buoni riscontri, e quello chirurgico. La scelta dipende da una valutazione che va effettuata caso per caso, a seconda della sintomatologia con cui si presenta la sindrome endometriotica, ma anche a seconda dell’estensione della patologia”.
E ancora: “In ogni caso con le due opzioni si riesce a gestire la patologia in modo abbastanza buono. Ora speriamo che il nuovo studio e i successivi approfondimenti possano aggiungere nuove possibilità di cura”, conclude l’esperto”.