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L'aviaria e i pericoli del latte crudo dopo l'allarme dell'Oms: l'intervista a Ciccozzi sui rischi reali

L'epidemiologo Massimo Ciccozzi ai microfoni di Virgilio Notizie parla dell'allarme dell'Oms sull'influenza aviaria e i rischi del latte crudo

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Eleonora Lorusso

GIORNALISTA

Giornalista professionista dal 2001, ha esperienze in radio, tv, giornali e periodici nazionali. Conduce l’annuale Festival internazionale della Geopolitica europea. Su Virgilio Notizie si occupa di approfondimenti e interviste, in particolare su Salute, Esteri e Politica.

Il monito dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) è chiaro: evitare il consumo di latte crudo e limitarsi a quello pastorizzato. L’indicazione degli esperti è arrivata dopo la segnalazione di un primo caso di contagio di influenza aviaria in un uomo. Ma quali sono i rischi reali? L’intervista concessa a Virgilio Notizie da Massimo Ciccozzi, epidemiologo dell’Università Campus biomedico di Roma.

Il caso di aviaria in Texas

L’uomo positivo all’aviaria negli Stati Uniti è un abitante del Texas ed è risultato positivo al virus H5N1 già individuato nelle fogne di ben 9 città dello Stato.

Come riferiscono i ricercatori del Baylor College of Medicine di Houston, che hanno condotto uno studio riferito al periodo tra il 4 marzo e il 25 aprile, la scoperta deve mettere in guardia da possibili rischi anche perché nello stesso arco di tempo, negli allevamenti di mucche da latte, sono stati registrati focolai di H5N1.

Massimo Ciccozzi

L’allarme dell’Oms sul latte crudo

Da questo dato è partito l’allarme dell’Oms, con un richiamo alla prudenza nel consumo del latte.

“La crescente presenza del virus H5N1 negli animali domestici solleva notevoli preoccupazioni sul fatto che l’adattamento virale a esseri umani immunologicamente fragili possa provocare la prossima pandemia influenzale”, hanno sottolineato gli esperti.

L’intervista a Massimo Ciccozzi

Parlare di spillover, di salto di specie, mette paura perché è quanto accaduto con il virus responsabile del Covid. Che differenze ci sono?

“Per spillover si intende un passaggio da una specie animale a un’altra. Nel caso dell’aviaria usiamo questo temine in senso tecnico, perché è passato dai volatili (come polli e uccelli selvatici) ai bovini, che sono mammiferi. Era accaduto in passato qualcosa del genere con i visoni”.

Perché adesso è importante osservare il fenomeno e non sottovalutarlo?

“È importate monitorare la situazione perché i bovini producono latte, è in questo alimento che è stata trovata traccia del virus H5N1. Va chiarito, però, che non è stato specificato se si trattasse di un virus che infettava o meno: credo che ragionevolmente fosse un morto”.

In termini pratici, quindi, cosa accade al latte, quali sono le precauzioni da adottare per evitare rischi?

“Sicuramente il consiglio è il più semplice e normale: il latte va sempre bevuto pastorizzato. È possibile che, nel caso dell’uomo infettato in Texas, abbia bevuto il latte crudo o che il monito sia rivolto a chi magari ha questa abitudine, come può accadere in alcune zone, o al fatto che certi allevamenti o caseifici producano formaggi ottenuti con latte crudo, che invece va sempre pastorizzato in via precauzionale”.

Gli esperti indicano che i rischi al momento riguardano soprattutto gli “animali domestici”. Di quali si tratta, esattamente?

“Solo e soltanto di bovini: al momento non è mai stato provato che questo virus possa trovarsi in altre specie. Ovviamente il fatto che si tratti di bovini crea allarme per un altro motivo: questi animali potrebbero diventare un nuovo serbatoio, come lo erano i polli o uccelli selvatici nel sud est asiatico. Il vero pericolo sta nel fatto che si trovano in allevamenti intensivi”.

Cosa significa questo? Cosa può comportare?

“Con gli allevamenti intensivi, nello specifico di bovini, il virus potrebbe passare da un animale all’altro. Se ciò avvenisse, avverrebbero delle mutazioni, casuali. Il problema sta nel fatto che non sappiamo se potrà fare una mutazione che possa permettere un passaggio per spillover dal bovino all’ uomo. Il rischio non è dato tanto dal possibile contatto tra l’animale e l’uomo (per esempio, durante la macellazione o nello smaltimento delle feci). Quanto piuttosto perché negli allevamenti intensivi gli animali vivono a strettissimo contatto l’uno con l’altro”.

Quanto è fondata l’ipotesi di una trasmissione da animale a uomo e, soprattutto, da uomo a uomo, come nel Covid?

“Il problema è rappresentato da fatto che, appunto, potrebbe avvenire un’infezione umana tramite due vie: la prima, come nel caso dell’uomo in Texas, per contatto diretto se il soggetto in questione ha maneggiato senza precauzioni gli animali (magari senza indossare guanti, camice, cappellino o mascherina); la seconda in caso di trasmissione interumana, cioè da un altro uomo a sua volta infettato. La domanda è: una volta passato all’uomo, chi ci dice che non possa comportarsi come altri virus e appunto passare da un soggetto a un altro in modo diretto? Magari tra 10, 20 o 50 anni”.

Ad oggi cosa sappiamo su questa eventualità?

“Non c’è nulla di scientificamente provato, anche perché il virus dovrebbe mutare perché ciò avvenga e al momento non abbiamo indicazioni in merito. Certo, la presenza di allevamenti intensivi non facilita il controllo. Andrebbero evitati, ma sappiamo che sono commercialmente molto redditizi tanto che ne esistono ancora di volatili nel sud est asiatico, nonostante il Covid, per esempio”.

Quindi quali sono le indicazioni per ridurre i rischi?

“Sicuramente sorvegliare e monitorare. Il sistema di sorveglianza, in Italia affidato soprattutto agli istituti zooprofilattici, è efficiente. Il monitoraggio deve proseguire. Il fatto che il virus sia stato identificato tramite il controllo delle acque reflue, in Texas, è un’ottima notizia. Certo, bisognerebbe anche capire se il virus provenisse da un animale infetto asintomatico o meno”.

È possibile, quindi, essere asintomatici (per l’animale) quindi poter avere il virus e trasmetterlo, senza sviluppare la malattia?

“Sì, esatto. Nell’ipotesi che un uomo sia infetto è possibile che i segni siano del tutto paragonabili a quelli di una normale sindrome influenzale. Il problema, casomai, si porrebbe in caso di spillover umano, perché si potrebbe avere un tasso di mortalità del 30%, che non è basso”.

Quali precauzioni si possono fornire alla popolazione, in particolare riguardo al consumo di latte?

“Per gli operatori degli allevamenti è necessario indossare sempre mascherina, guanti, camice e cappellino in testa. Questo per evitare di maneggiare l’animale o le feci in modo diretto, o di inalarle se sono secche e dunque polverizzate. Per i cittadini è sufficiente limitarsi al consumo di latte pastorizzato e formaggi non crudi”.

Ci sono altri alimenti “a rischio”, come ad esempio la carne bovina o le uova nei volatili?

“No, perché la carne non rappresenta un problema, a patto di consumarla cotta, ovviamente. Lo stesso vale per le uova. Non bisogna temere di mangiarne, come accaduto con la carne di pollo qualche tempo fa: la cottura uccide tutti i virus, con la sola eccezione di quello responsabile dell’epatite A, per esempio, nei mitili: in questo caso, anche se cotti, sopravvivano”.

C’è qualcosa che ci ha insegnato il Covid e che può tornare utile con il virus H5N1?

“Sì, come dicevo, l’attenzione a ciò che accade negli allevamenti intensivi. Però il Covid è diverso, lo ripetiamo: in quel caso le cause avevano a che fare anche con il mercato della carne di Wuhan, con i pipistrelli e le sperimentazioni su questi animali”.

Fonte foto: 123RF
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