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L'attentato dell'11 settembre alle Torri Gemelle: cos'è cambiato tra gli Usa e il mondo, da Trump alla Russia

Cos'è cambiato dall'attentato dell'11 settembre alle Torri Gemelle e qual è il clima negli Usa in vista delle elezioni. Intervista a Petroni

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L’America è pronta a celebrare l’anniversario dell’attentato dell’11 settembre 2001. Da giorni si susseguono memorial in ricordo delle 2977 vittime, alle quali si sono aggiunti 19 attentatori, con eventi speciali. Anche quest’anno per New York non è una data come le altre. Ma come è cambiata l’America in questi 22 anni dall’attacco alle Torri Gemelle? A rispondere a Virgilio Notizie è Federico Petroni, analista di Limes e curatore della rubrica Fiamme americane, un vero osservatorio sugli Stati Uniti.

Le celebrazioni a New York

Nella ricorrenza dell’attacco alle Torri Gemelle tutta la città si veste a lutto e ricorda i propri caduti con grande commozione.

Oltre alle cerimonie religiose dedicate ai caduti, che si svolgono nelle chiese di Manhattan e in particolare a Saint Patrick, nell’area di Ground Zero c’è la commemorazione ufficiale. Il 9/11 Museum resta chiuso al pubblico per dare la priorità ai familiari delle vittime.

attentato 11 settembre 2001 torri gemelleFonte foto: ANSA
Lo skyline di New York avvolto dal fumo subito dopo l’attentato alle Torri Gemelle, 11 settembre 2001

L’intervista a Federico Petroni

L’America si è ripresa dallo shock degli attentati che hanno cambiato il mondo?

“Quello che è cambiato in questi 22 anni è che l’America ha pagato le conseguenze della iper reazione allo shock dell’11 settembre. Aver reagito con una strategia puramente militare a quegli attacchi terroristici ha aumentato il processo di dilapidazione delle risorse economiche, ma anche morali dell’America. L’impero statunitense, che era già in fase di sovraestensione, si è ulteriormente ampliato”, spiega Petroni.

Quali conseguenze ha avuto questa reazione, anche all’interno dei confini nazionali?

“La conseguenza è stata da un lato di consentire ai rivali di prepararsi ad affrontare l’America, mentre l’America si occupava di altro; ma dall’altro ha anche disilluso la popolazione statunitense facendola imbarcare in una serie di guerre infinite, diminuendo di molto la disponibilità popolare a sacrificarsi per l’interessa nazionale – chiarisce Petroni – Oggi gli americani sono meno propensi a usare la forza, perché l’hanno usata in modo sproporzionato in teatri come l’Iraq e l’Afghanistan”.

Chi sono, allora, i nuovi “nemici” degli Usa oggi e chi gli Alleati?

“Sui propri avversari gli Usa hanno le idee chiare: per prima di gran lunga la Cina, poi in misura minore la Russia. Ci sono anche alcuni rivali ancillari regionali come Iran e Corea del Nord. Per quanto riguarda gli alleati, invece, per gli Usa sono quei Paesi inseriti in una disponibilità strategica, dei quali pretendono di usare alcune delle loro risorse per fini e interessi americani. Potremmo chiamarli ‘Occidente allargato’ o ‘Occidente strategico’, cioè Paesi membri di Unione europea e della Nato. Nella zona dell’Indo-pacifico, invece, sono Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. Infine, seguono Paesi che gli Usa stanno attivamente corteggiando per usarli in chiave di accerchiamento di Russia e Cina, come l’india, le Filippine e il Vietnam.

In questo panorama, come sono oggi i rapporti con il Medio Oriente, già chiamato in causa all’epoca dell’11 settembre?

“In questo momento c’è una crisi con quei Paesi con i quali ci sono rapporti di alleanza non formalizzati, proprio in Medio oriente. L’equivoco è dato dal fatto che non sono paesi democratici, in primis l’Arabia Saudita. Il vero punto è che gli Usa avevano dichiarato che non si sarebbero più occupati del Medio Oriente in modo prioritario, ma ora questi Paesi stanno mercanteggiando la propria fedeltà in cambio di rapporti più stretti.

Come sono, invece, i rapporti con l’Europa e come potrebbero cambiare con le nuove elezioni americane del 2024 alle porte?

“Biden è l’ultimo atlantista di ferro di una generazione che vedeva un rapporto privilegiato tra Usa ed Europa, che era considerata un elemento importante della solidità americana nel mondo. Se dovesse arrivare un presidente più giovane, non avrebbe avuto l’esperienza della Guerra fredda, in cui c’era una comunità di interessi tra Europa e Usa. Ovviamente se dovesse vincere un Trump o comunque un repubblicano, il rapporto Usa-Ue ne risentirebbe platealmente, perché ormai il partito repubblicano è un partito nazionalista”, risponde l’analista.

Questo sarebbe ancora più vero in caso emergessero nuove figure come Vivek Ramaswamy, candidato alle primarie repubblicane e considerato più “falco” di Donald Trump?

“Sì, esatto. Ormai queste figure vedono l’Europa come un fardello, un problema che rischia di trascinarli in guerra e come Paesi che si intromettono a sproposito nel dibattito puramente nazionale americano, oltreché che come concorrenti commerciali”, conclude Petroni.

torri-gemelle-attentato-11-settembre-2001 Fonte foto: ANSA
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