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Israele attaccata da Hamas con missili da Gaza, equilibrio nel Medioriente a rischio: l'intervista all'esperto

Con l'attacco di Hamas a Israele sono a rischio gli equilibri del Medioriente, dall' Iran al Libano e Arabia Saudita: l'intervista a Dentice

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Dopo gli oltre 5 mila razzi partiti da Gaza e lanciati da Hamas su Israele, è scattata la risposta del Governo di Tel Aviv, durissima, che rischia di far precipitare la situazione e l’area in una nuova guerra. L’attacco è scattato all’alba del 6 ottobre, una data non casuale dal momento che proprio il 6 ottobre del 1973 scoppiò la guerra dello Yom Kippur, lanciata da Egitto e Siria contro il territorio israeliano. Quali sono le possibili conseguenze, spiegate dall’analista Giuseppe Dentice (responsabile del desk MENA – Medio Oriente e Nord Africa – del Centro Studi internazionali Ce.S.I.) nell’intervista ai microfoni di Virgilio Notizie.

Tensione alle stelle

In questo caso a preoccupare è anche l’ingresso, dall’enclave palestinese di decine di miliziani di Hamas, sul suolo israeliano, anche dal mare e dal cielo, in parapendio. Ad alimentare la tensione già altissima è il fatto che sarebbero stati catturati anche alcuni soldati, come dimostrerebbero alcune immagini pubblicate online.

Immediata la risposta del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, che ha lanciato la controffensiva chiamata Spade di Ferro, dichiarando: “Non è solo un’operazione, è proprio una guerra”. In questa situazione si moltiplicano gli appelli alla calma e le esortazioni a deporre le armi da parte della comunità internazionale, con l’Onu che parla di “precipizio pericoloso”.

israele razzi gazaFonte foto: ANSA
Uno dei migliaia di razzi lanciati da Gaza verso Israele

L’intervista a Giuseppe Dentice

Cosa c’è di nuovo, adesso, rispetto agli scontri del passato?

““Questa è una guerra in qualche modo nuova, che apre scenari potenzialmente inediti, anche se è il frutto di anni di scontri tra le parti. L’attacco da parte di Hamas e dello Jihad islamico palestinese si inquadra in un contesto di scontro con Israele, che durava appunto da tempo e che finora vedeva attacchi palestinesi e risposte israeliane con frequenti strike aerei su Gaza. Dal 2021, inoltre, si sono aggiunti problemi di sicurezza interna, con incidenti a Gerusalemme e nelle cosiddette città miste arabo-israeliane. Da qui è nata, si è sviluppata e sedimentata questa nuova guerra, che però rischia di essere definitivamente diversa dalle altre.

Perché la crisi è scoppiata proprio adesso, in occasione di una data importante come l’anniversario della guerra del 6 ottobre del 1973?

“La simbologia ha un valore nel mondo arabo musulmano e in generale nelle dinamiche del Medio Oriente. Questo perché, come in quel caso, anche in questa situazione Hamas e presumibilmente lo Jihad islamico palestinese hanno attaccato a sorpresa Israele. Le forze di sicurezza di Tel Aviv, benché temessero attacchi soprattutto in Cisgiordania, hanno forse sottovalutato il rischio di minaccia dal sud del territorio e si sono ritrovati in qualche modo sguarniti”.

Israele, quindi, era impreparato anche per via della festività dello Sukkot, del 6 ottobre?

“In effetti possiamo dire che fosse impreparato proprio per effetto della festività. Anche nel 1973 l’attacco, in quel caso da parte di Egitto e Siria, avvenne in occasione di una festività ebraica, lo Yom Kippur. Allora Tel Aviv fu presa di sorpresa anche se poi recuperò posizioni strada facendo. Ripeto, le simbologie contano e ci parlano di una guerra che di fatto si sta portando su posizioni rigide: si stanno scontrando Israele, guidato dal Governo più a destra della sua storia, e le fazioni più estreme della galassia palestinese. Questa situazione, per molti aspetti nuovi, può ridefinire molti degli equilibri della regione compresi i rapporti tra Tel Aviv e Riad che si stavano normalizzando”.

Cosa può cambiare nei rapporti con l’Arabia Saudita? Qualcuno pensa che questa nuova guerra possa congelare il processo di riavvicinamento che era stato avviato tra i due Paesi.

“Non è un caso che questa situazione possa avere un’incidenza più ampia. Tra gli attori che ‘tifano’ per un congelamento c’è l’Iran che notoriamente appoggia le azioni dello Jihad islamico palestinese, e in passato ha fornito finanziamenti e supporto allo stesso Hamas. Evidentemente c’è un interesse diretto o indiretto da parte di Teheran, che comunque si è sempre dichiarato contrario a una normalizzazione dei rapporti tra i paesi arabi e Israele, ancor di più nel caso dell’Arabia Saudita, che è un paese leader nel mondo arabo e musulmano”.

Al momento la reazione di Israele è già forte, con i bombardamenti aerei, ma potrebbe diventarlo ancora di più con un’azione di terra?

“Il rischio c’è. Se si arrivasse a un’operazione di terra è innegabile che si rischierebbe un allargamento del conflitto nei Territori, ma anche nelle vicinanze, come il Libano meridionale dove Hezbollah è un attore molto forte. Qui ci sono anche alcuni gruppi palestinesi, presenti nei campi profughi, che hanno ancora una grossa capacità di ricostituirsi e che negli ultimi mesi hanno mostrato la loro posizione di violenza contro Israele. Un’azione di terra comporta rischi notevoli che devono essere valutati attentamente anche da Israele. Ripeto, a mio avviso questa non è una guerra come le altre. La speranza è che possa rientrare, ma se i toni sono quelli emersi finora l’intenzione sembra essere quella di andare a un muro contro muro. Se così fosse dobbiamo preoccuparci e non escludere il peggio”.

L’attacco è molto forte e soprattutto ha trovato l’appoggio anche di Abu Mazen. Perché e cosa implica?

“Abu Mazen si è trovato nella condizione di dover appoggiare la strategia di Hamas. Non perché condivida qualcosa con Hamas, ma perché ha paura di vedersi sempre più delegittimato. Da questo punto di vista Hamas ha tentato un’operazione che ha anche come scopo quello di ergersi come ultimo e unico tutore della lotta di resistenza palestinese contro Israele. Abu Mazen, che è in posizione di debolezza assoluta, ha cercato di non rimanere isolato e, paradossalmente, sullo stesso piano di Israele”.

In questo momento la situazione può ricompattare il popolo israeliano, dopo mesi di difficoltà del premier Netanyahu e di proteste contro la riforma della giustizia che ha portato avanti?

“Sì e c’è già una dimostrazione. Per il 6 ottobre era prevista una nuova protesta a Tel Aviv e in altre città, che è stata cancellata in solidarietà nei confronti della nazione, non del Governo in sé. Netanyahu, quindi, si trova a poter ricompattare le fila. È innegabile che fosse in posizione di debolezza e che lo sia ancora, però, paradossalmente la guerra potrebbe giocare a suo favore, come del resto è sempre accaduto anche in altri Paesi: uno scontro contro un nemico esterno rafforza i premier in condizioni di difficoltà interna. Per Netanyahu questa guerra potrebbe avere un risvolto favorevole da un punto di vista puramente politico”.

israele-gaza-hamas Fonte foto: Cesi / ANSA
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