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Insediamento Donald Trump, da Giorgia Meloni a Michelle Obama: chi c'è e chi "boicotta" l'Inauguration Day

Da Israele all’Ucraina, passando dai rapporti con Giorgia Meloni e l'Europa: cosa dobbiamo aspettarci da Donald Trump dopo il suo secondo insediamento

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Se l’obiettivo dichiarato in politica estera di Donald Trump è la fine delle guerre in corso, in primis quella di Israele in Medio Oriente, tra i dossier sul tavolo del presidente Usa, fresco di insediamento, ci sono quelli del confronto-scontro con la Cina e l’Unione europea, in particolare in materia di difesa e NATO. L’agenda estera del 2025 del presidente, tornato alla Casa Bianca dopo 4 anni, si presenta non priva di ostacoli. Dalla sua parte avrà l’Italia di Giorgia Meloni? L’analisi di Gianpiero Gramaglia, consigliere dell’Istituto Affari Internazionali.

L’insediamento di Donald Trump: c’è Meloni, chi sono gli assenti

Come annunciato da tempo, alla cerimonia d’insediamento di Donald Trump non c’è  Xi Jinping: il presidente della Cina, nonostante l’invito, aveva già fatto sapere che non avrebbe partecipato.

A rappresentarlo l’ambasciatore di Pechino a Washington, ma l’assenza del presidente fa rumore perché arriva in un momento di rinnovata tensione nell’Indopacifico, uno dei dossier sul tavolo di Trump.

donald trump insediamentoFonte foto: ANSA
Melania Trump, Donald Trump, Barack Obama e Michelle Obama in uno scatto del 20 gennaio 2017, giorno del primo insediamento del tycoon

Anche l’ex first lady Michelle Obama diserta l’insediamento: due settimane fa aveva saltato anche i funerali dell’ex presidente Jimmy Carter, dove avrebbe dovuto sedersi accanto al tycoon.

Presenti invece gli ex presidenti Barack Obama, Bill Clinton e George W. Bush, oltre ovviamente a Joe Biden.

Presente la premier Giorgia Meloni, che però era già stata nella residenza di Mar-o-Lago in Florida, pochi giorni fa, alla vigilia della liberazione della giornalista Cecilia Sala, detenuta in Iran.

Nonostante in realtà la cerimonia di insediamento alla Casa Bianca non preveda il coinvolgimento di leader mondiali, alcuni sono comunque stati invitati.

Il tycoon ha voluto come ospite il presidente argentino, Javier Milei.

Quanto alle star, che non hanno mai nascosto di preferire i candidati democratici, questa volta a cantare l’inno e scandire la cerimonia ci sono alcuni nomi già presenti nel 2017, come Tabernacle Choir at Temple Square, 3 Doors Down, Ravidrums e i The Piano Guys.

Nessun cantante di fama mondiale (come Lady Gaga per Biden o Beyoncé per Obama), dunque.

La cerimonia e il passaggio di consegne con Joe Biden

In occasione del passaggio di consegne con Joe Biden, Donald Trump diventa il 47° presidente degli Usa, il secondo capace di tornare alla Casa Bianca per un secondo mandato non consecutivo insieme a Grover Cleveland, a fine ‘800.

A precedere le ultime fasi prima del via ufficiale della nuova Amministrazione sono, come da copione, la firma della lista della squadra di Governo alla President’s Room accanto al Senato, il pranzo inaugurale offerto dal Joint congressional committee on inaugural ceremonies, e la parata presidenziale con la rassegna delle truppe. A fare da sfondo sono luoghi iconici come Constitution Avenue, Indipendence Avenue e soprattutto Pennsylvania Avenue, che porta alla Casa Bianca.

Dopodiché Trump potrà iniziare a dare concretezza alla propria agenda.

L’intervista a Gianpiero Gramaglia

Quali sono le priorità dell’agenda estera di Donald Trump?

“Tra le sue priorità, stando alle dichiarazioni della vigilia del secondo mandato, ci sono la fine delle guerre e proprio la gestione delle relazioni con la Cina, con l’obiettivo di circoscriverne le ambizioni e l’espansione, sia economica che geopolitica. A questo proposito non sembra che ci sia la volontà di Trump di arrivare a un confronto-scontri militare con Pechino e non penso neanche – sicuramente lo spero – che la Cina voglia correre questo rischio, avviando iniziative nei confronti di Taiwan, alle isole Spratley o in altri siti, alimentando la tensione nella regione”.

In questo momento il Medio Oriente sembra avere la priorità su tutto, come testimonia il fatto che lo stesso Joe Biden ha spinto per arrivare alla firma di un accordo tra Israele e Hamas su Gaza, prima della fine del suo mandato. Quale potrà essere l’atteggiamento di Washington con Tel Aviv?

“In questo caso la differenza rispetto all’amministrazione Biden potrebbe essere più marcata. Abbiamo visto quanti viaggi ha effettuato in Medio Oriente il segretario di Stato Usa, Anthony Blinken, che prima di Natale si era recato anche ad Ankara in Turchia. In tutto ha compiuto almeno una dozzina le missioni in un anno, un numero considerevole, che dimostra la volontà di mediare, mentre le prime dichiarazioni di Trump sono state all’insegna di un minor coinvolgimento nell’area”.

Una volta pacificata, quindi, gli Usa potrebbero diminuire il proprio interesse nell’area?

“Un conto sono le indicazioni generali, un altro i fatti concreti, per i quali occorrerà attendere. È plausibile che Trump agirà in due direzioni: da un lato circoscrivere ulteriormente le capacità di influenza dell’Iran nella regione, rinsaldando il rapporto privilegiato già avviato a suo tempo con l’Arabia Saudita; dall’altro il sostegno a Israele per garantirne la sicurezza”.

Quanto ai rapporti con l’Europa (e l’Italia), cosa potrebbe accadere?

“I leader europei, che fino al 8 novembre speravano che non vincesse Trump, ora “portano doni” a quello che sarà nuovo presidente Usa, affrettandosi a dipingere un futuro meno grigio di quanto temuto. Lo stesso segretario della NATO, Marc Rutte, ha già spostato la barra, ipotizzando un investimento del 3% del Pil nell’Alleanza, dopo che già il 2% è stato un obiettivo difficile da accettare (e sostenere) per molti Stati membri”.

Quindi oggi c’è meno “timore” oppure si privilegia la strategia della collaborazione con il nuovo presidente Usa, come testimoniano i rapporti della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni?

“Mi aspetto un intenso lavorio di ‘addomesticamento’ e ‘ammansimento dell’orco Trump’ da parte dell’Europa. C’è chi spera che ‘scodinzolando’ non arriveranno, per esempio, i temuti dazi. Bisognerà attendere. Di certo la minaccia Usa di uscire dalla NATO non è del tutto infondata: è probabile che a dettare la scelta della nuova amministrazione sia l’esclusivo interesse statunitense e non la comunità di valori ai quali si ispira l’Alleanza”.

Infine, anche sul fronte ucraino la pace tra mosca e Kiev sembra non essere mai stata tanto vicina: c’è da sperare che arrivi nel 2025?

“Credo che Trump miri non tanto ad essere mediatore, quanto a indurre a un negoziato, che poi dovranno concludere Kiev e Mosca. Certo gli Usa hanno potenti armi di convincimento nei confronti di Zelensky, già peraltro ventilate, come l’interruzione o il semplice rallentamento degli aiuti militari alle forze ucraine”.

donald-trump-insediamento-inauguration-day Fonte foto: ANSA
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