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Giorgio Armani: "Con Sergio Galeotti morì una parte di me", gli amori e il rimpianto di non essere padre

Giorgio Armani si confessa a 360 gradi: dall'amore per Sergio Galeotti, morto prematuramente, ai rimpianti di una vita straordinaria sotto tutti i profili

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L’infanzia sotto il fascismo, l’incidente giovanile che quasi gli costò la vista, la fidanzatina morta sotto a un tir e il lutto per Sergio Galeotti. E ancora la carriera sfolgorante e l’unico grande rimpianto, quello di non essere riuscito a diventare padre. È un Giorgio Armani a tutto campo quello che si è abbandonato a una confessione a cuore aperto.

La morte di Sergio Galeotti

Fu proprio Sergio Galeotti a spingere Armani a mettersi in proprio, riconoscendone l’enorme potenziale. Così ha raccontato il diretto interessato in una lunga intervista al Corriere della Sera.

La storia d’amore tra Giorgio Armani e l’architetto Sergio Galeotti venne troncata nel 1984 da una leucemia che strappò quest’ultimo alla vita.

Quando morì Sergio, morì una parte di me. Devo dire che mi complimento un po’ con me stesso, perché ho retto a un dolore fortissimo. Un anno tra un ospedale e l’altro, io per non ferirlo ho continuato a lavorare, gli portavo le foto delle sfilate, negli ultimi tempi vedevo le lacrime ai suoi occhi. Fu un momento estremamente difficile, che ho dovuto superare anche contro l’opinione pubblica. Sentivo dire: “Armani non è più lui, sarà sopraffatto dal dolore, non ce la farà da solo…” Anche per questo, a chi mi chiedeva una partecipazione nella Giorgio Armani, rispondevo: “No, grazie, ce la faccio da solo”.

Il rapporto con gli altri stilisti

Fra stilisti italiani, dichiara Armani, “non ci si confronta mai, è un mondo chiuso. Si ha come paura di esporre le proprie iniziative, le proprie idee”. C’è rispetto, insomma, ma raramente amicizie gioviali. Con Versace c’era un rapporto “distaccato” ma anche “una specie di intesa sottintesa”.

Con Valentino Armani parla di un “rapporto piacevole”, perché “è una persona molto carina” e “gentile”. Dolce&Gabbana li considera “due furbacchioni” che però ammira. E di Miuccia Prada dice: “Vive nel mondo di Miuccia Prada più che nel mondo vero. Non pensa che quel vestito deve essere portato”.

Il fascismo

Dell’infanzia sotto il fascismo, Armani parla così: “La cosa principale era che non potevamo dire di no al sistema: o ne facevi parte, o venivi tagliato fuori. Poi c’erano anche cose buone”. Ad esempio le gite in campagna “con la distribuzione del pane, le colonie estive, gli spettacoli teatrali organizzati dal dopolavoro… Un po’ noi ragazzini ci divertivamo“.

Giorgio Armani Fonte foto: ANSA

Giorgio Armani.

L’infortunio giovanile

“Finita la guerra – ricorda Armani – noi ragazzini andavamo in giro a raccogliere la polvere da sparo. Uno dei miei amici prese un pacchetto, accese una miccia… io mi ero affacciato in strada per vedere cosa succedeva e presi in pieno la fiammata. Rimasi in ospedale venti giorni, rischiai di perdere la vista“.

La fidanzatina morta sotto un tir

Nell’infanzia di Armani c’è stato un evento traumatico: “Avevo 7, 8 anni. Wanda viveva a tre isolati dal mio ed era una bambina dall’aria esotica, dal colorito un po’ etnico: capelli dritti, riga in mezzo, un po’ come le ragazze di adesso. Era diventata la mia fidanzatina. Morì schiacciata da un tir. Passò un camion, lei attraversò la strada, non si accorse che dietro c’era un altro camion, che la colpì qui, al cervelletto”.

Il rimpianto di non essere padre

Uno dei rimpianti di Armani è quello di non essere riuscito a diventare padre, una mancanza che lo stilista sente “moltissimo”.

“Un mio dipendente, Michele, ha una bambina di cinque anni che adoro, la considero quasi come mia, e questo mi ha fatto capire che sarei stato un ottimo papà. Si chiama Bianca”, confessa Armani.

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