Ginecologa scomparsa a Trento, cosa sappiamo: la storia dall'inizio
Sara Pedri, 31 anni, ginecologa scomparsa a Trento, potrebbe essere stata vittima di un clima di terrore: cosa sappiamo e tutta la storia dall'inizio
Da un punto di vista giornalistico, la vicenda di Sara Pedri ha un inizio molto preciso. Si tratta del 4 marzo 2021. È la data in cui l’auto della giovane di 31 anni, originaria di Forlì, viene trovata vicino al ponte di Mostizzolo sul torrente Noce, in località Cles, nel Trentino – Alto Adige. Della ragazza, però, nessuna notizia. Nell’auto invece c’è il telefonino. Considerato il luogo dell’abbandono del mezzo, fin da subito si teme il peggio. E, da allora, le speranze di ritrovare la 31enne ancora in vita si affievoliscono giorno dopo giorno.
Il corpo, che costituirebbe la prova definitiva della morte, che naturalmente è un’ipotesi in campo (la più temuta, certo, ma anche la più accreditata), non è mai stato trovato, nonostante ampie e approfondite ricerche, concentrate tra l’alveo del torrente, il lago di Santa Giustina e 250 ettari di terreno. Unità cinofile, droni, esperti di kayak, motovedette e un ecoscandaglio sonar: il dispiegamento di mezzi non ha consegnato certezze alla sorella e alla madre di Sara, che però hanno parlato. Trasformando la scomparsa in un caso mediatico, con forti ricadute giudiziarie. Ed è qui che comincia un’altra storia, che ha a che fare con i presupposti della scomparsa della giovane, sui quali la Procura di Trento ha acceso un riflettore.
Scomparsa di Sara Pedri: al Santa Chiara di Trento “minacce continue”
Gli indizi che puntano al reparto di Ginecologia e Ostetricia dell’ospedale Santa Chiara di Trento affiorano dalle conversazioni e dai gesti di Sara, che si era specializzata a Catanzaro e aveva preso casa a Cles, dove sarebbe, inizialmente, dovuta entrare in servizio. Il Covid però aveva scompigliato inaspettatamente i piani della ragazza, che quindi è stata trasferita a Trento: “40 minuti all’andata e 40 al ritorno”, ha raccontato ai giornali la sorella Emanuela. Ma lo stress degli spostamenti si è sommato a un clima sul posto di lavoro definito, da altri specialisti, prima, e dalla stessa Sara, poi, con aggettivi che ben ne descrivono le continue vessazioni.
“Le colleghe di Sara – sono le parole della sorella – ci hanno confermato quello che ci diceva lei: turni di lavoro massacranti, abusi di potere, minacce continue”. Sono parole, quelle arrivate alla stampa, che richiamano le frasi con cui altre infermiere hanno descritto il clima lavorativo del reparto del Santa Chiara: “Da anni si vive un clima di sofferenza legato a metodi autoritari. Atteggiamenti che sono andati inasprendosi: turni sfiancanti, scatti d’ira, umiliazioni senza valide ragioni”. Lo ha rivelato un’anonima ginecologa al Corriere della Sera: “Alcune persone sono state prese di mira – ha spiegato – e ne è seguito un demansionamento. Sara – è stata la conclusione della donna – ha avuto un impatto complesso con una realtà difficile, diversa da come se l’era immaginata e che non è stata accogliente. Né protettiva come dovrebbe essere nei confronti di una neo-specialista”. A conferma del quadro, inquietante, che emerge dai racconti, arrivano i fatti: i numeri del turnover sono troppo consistenti per non essere significativi. La diaspora, negli ultimi 6 anni, aveva riguardato 62 dipendenti.
La diaspora del personale: il turnover allarma sanitari e sindacati
Troppi per non allertare i piani alti della struttura, le autorità sanitarie e le parti sociali. I sindacati Anaao Assomed e Cimo della provincia di Trento hanno parlato di “mobbing e demansionamento” a causa dei quali “molti medici preferiscono andarsene”. L’Ordine dei Medici del capoluogo di Regione si è mosso “sollecitando l’Azienda a intervenire” alla luce del fitto avvicendamento del personale. Pur avendo istituito una commissione di inchiesta, il direttore generale Pier Paolo Bertollo aveva inizialmente chiarito che “gli approfondimenti effettuati nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa della dottoressa non avevano evidenziato possibili collegamenti”. Nel frattempo è entrata in campo anche la procura di Trento. Gli accertamenti, arrivati da più parti, hanno già avuto come conseguenze trasferimenti e dimissioni. Ma prima è bene parlare di un altro indizio assolutamente centrale e indispensabile a mettere a fuoco una vicenda che è ormai nelle mani degli inquirenti. Si tratta degli appunti che la stessa Sara ha scritto prima di far perdere le proprie tracce. Fogli vergati a penna rivelati dal settimanale di cronaca “Giallo”.
Cosa scriveva Sara prima della scomparsa: “Solo terrore”
“L’esperienza a Trento doveva essere formativa, purtroppo ha generato in me un profondo stato d’ansia, a causa del quale sono completamente bloccata e non posso proseguire. È una situazione più grande di me”. Così scriveva la ginecologa 31enne. Le lettere contengono le motivazioni che hanno portato alle dimissioni della giovane dall’ospedale di Cles, dove era stata nel frattempo trasferita, così come previsto in un primo momento. Dalla lettura emerge il profilo di una ragazza in conflitto con le sue scelte di vita ma che risente chiaramente di un ambiente di lavoro da lei stessa definito carico di “pressioni” e “angherie”. E continua: “Ho cercato di non disattendere mai agli ordini. Ho sempre detto di sì. Finora i risultati ottenuti sono solo terrore. Sono stata addirittura chiamata dal primario perché ho perso troppo peso”. Sulla perdita di chili esiste anche un certificato di malattia. Redatto dal medico di Sara e contenente una diagnosi chiara e precisa: “Calo ponderale per stress da lavoro”. Questa la ragione del dimagrimento secondo l’occhio clinico.
Quali conseguenze ha avuto la scomparsa di Sara Pedri
L’inchiesta, condotta da una commissione interna all’Azienda sanitaria trentina, ha avuto un risultato concreto. Si tratta dell’allontanamento del primario Saverio Tateo e di un secondo responsabile, Liliana Mereu. “Con il loro allineamento, il clima è peggiorato”, sono le parole consegnate dall’anonima ginecologa al Corriere della Sera: “La condotta, basata su atteggiamenti spesso vessatori, ha creato in me, come in tanti altri, una profonda sofferenza. Capitavano anche insulti e minacce. A un’infermiera ho sentito dire: io ti rovino”. Per l’Azienda sanitaria sarebbero troppe le criticità e inevitabile il trasferimento. La commissione ha sentito 110 persone e adesso trasferirà il fascicolo all’Ufficio procedimenti disciplinari per l’attivazione del relativo iter. Nel frattempo si è dimesso anche il direttore generale, quello che ha riconfermato Tateo. “È un lavoro complesso, che si può fare solo se si ha serenità d’animo – così il dottore ha spiegato le motivazioni del gesto – forse anche appartengo ad un’altra generazione, in cui i sistemi di relazione erano diversi”.
Si attendono a questo punto gli sviluppi giudiziari. Prima del caso Pedri, dirigenti e ostetriche si erano rivolti agli avvocati, rendendo i legali partecipi delle “vessazioni mortificanti” ricevute sul posto di lavoro. Vanno avanti anche gli accertamenti della procura di Trento. Ma se così tante iniziative hanno preso corso ed eventuali storture saranno raddrizzate, è merito soprattutto della mamma e della sorella di Sara. Che non hanno mai abbassato la voce.
Oggi il caso di Sara Pedri viene seguito attentamente anche dall’opinione pubblica e ci parla degli effetti del mobbing: un insieme di comportamenti aggressivi di natura fisica e verbale, anche sul posto di lavoro, che possono avere conseguenze devastanti sulla salute mentale dei professionisti.