Facebook vs Casapound, la sentenza di primo grado premia Meta: giusto rimuovere la pagina che istiga all'odio
Facebook cancella la pagina di CasaPound e il Tribunale di Roma dà ragione al social network: "Giusta la cancellazione, c'era istigazione all'odio"
Facebook ha oscurato la pagina di CasaPound con la motivazione che istiga all’odio sociale. E una recente sentenza dà ragione a Meta Platforms Ireland Ltd, la società che fa capo a Facebook.
- Il Tribunale di Roma dà ragione a Facebook
- Facebook vs CasaPound, scontro aperto
- I discorsi d'odio non hanno tutela costituzionale
- Per Facebook diritto/dovere alla cancellazione
Il Tribunale di Roma dà ragione a Facebook
La sentenza di primo grado è stata emessa dal Tribunale civile di Roma. Si tratta della sentenza 17909 del 5 dicembre 2022.
Secondo i giudici il tenore dei post di CasaPound ha violato la policy contrattuale rendendo legittimo l’oscuramento della pagina ufficiale del movimento.
Facebook vs CasaPound, scontro aperto
Quella fra Facebook e CasaPound, movimento politico di estrema destra, è una querelle annosa. Da una parte il social network che si schiera contro l’hate speech, cioè i discorsi improntati a odio e intolleranza.
All’altro angolo del ring CasaPound che invoca il diritto a rimanere sulla piattaforma in nome del rispetto della libertà d’espressione.
E in nome della libertà d’espressione, CasaPound si spinge anche oltre invocando la “depenalizzazione di tutti i reati ideologici, associativi e d’opinione”, come si legge nel programma politico pubblicato sul sito ufficiale.
Con la recente sentenza vengono così revocate due precedenti ordinanze cautelari che andavano nella direzione opposta, ovvero consentire la permanenza di CasaPound su Facebook in nome del “diritto costituzionale al pluralismo dei partiti politici”.
I discorsi d’odio non hanno tutela costituzionale
Secondo il Tribunale di Roma “i discorsi d’odio, poiché in grado di negare il valore stesso della persona così come garantito agli articoli 2 e 3 della Costituzione, non rientrano nell’ambito di tutela della libertà di manifestazione del pensiero, la quale non può spingersi sino a negare i principi fondamentali e inviolabili del nostro ordinamento”.
Secondo i giudici, una organizzazione “può essere designata organizzazione d’odio in base alle regole contrattuali di Facebook sopra illustrate, in quanto oggettivamente favorisce la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico”.
Per Facebook diritto/dovere alla cancellazione
Stando così le cose, “Facebook non solo poteva risolvere il contratto grazie alle clausole contrattuali accettate al momento della sua conclusione, ma aveva il dovere legale di rimuovere i contenuti, una volta venutone a conoscenza, rischiando altrimenti di incorrere in responsabilità (…), dovere imposto anche dal codice di condotta sottoscritto con la Commissione Europea”.