Erdogan rischia di perdere le elezioni in Turchia contro Kilicdaroglu: come potrebbe cambiare il Paese
Dalla politica estera ai diritti civili, fino al rapporto con la minoranza curda: cosa potrebbe cambiare in Turchia se Erdogan perdesse le elezioni
Due Turchie al bivio. Dal risultato delle elezioni in Turchia dipendono moltissime cose. I due schieramenti che si affrontano – quello del presidente uscente Recep Erdogan e l’opposizione della tavola dei sei, guidata da Kemal Kilicdaroglu – rappresentano due visioni diversissime del destino che il Paese anatolico prenderà nel futuro.
- Quando si vota per le elezioni in Turchia
- La politica estera
- Politica interna: diritti civili, democrazia, LBGTQIA+, libertà di stampa
- La questione curda
- La religione
- I rischi: lo spettro della guerra civile
Quando si vota per le elezioni in Turchia
Domenica 28 maggio andrà in scena il ballottaggio per il rinnovo della presidenza della Repubblica turca e della Grande assemblea nazionale, ossia il Parlamento. Da un lato, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP), supportato soprattutto dalle fasce di popolazione più conservatrici e il cui leader è Recep Erdogan: dall’altro, la coalizione Partito Popolare Repubblicano (CHP), che conta sul voto di giovani, minoranze, popolazione urbana, guidata da Kemal Kilicdaroglu. Lo scontro si riflette non solo nella composizione dell’elettorato, ma anche nell’immagine di quale sia il posto nel mondo per la Turchia, se il suo futuro sia quello di divenire un paese occidentale oppure rimanere legato al modello islamico.
Per la prima volta, le opposizioni hanno la possibilità di insidiare lo storico predominio di Erdogan, al potere da ben vent’anni. Nonostante l’AKP abbia avuto risultati migliori al primo turno, contrariamente a quanto previsto dalle proiezioni di voto (che l’opposizione ha contestato come frutto di brogli), un colpo di scena è ancora possibile. Nello scenario in cui è l’opposizione a trionfare, come dobbiamo immaginarci la Turchia del futuro? Proviamo a scoprirlo.
Kemal Kilicdaroglu, lo sfidante di Recep Erdogan
La politica estera
Sotto Erdogan, la politica estera della Turchia è stata ambigua e bilanciata, evitando di schierarsi in modo deciso nelle coalizioni internazionali e ritagliandosi una sorta di ruolo di mediazione.
La Turchia è infatti un membro NATO, ma tutt’altro che solidamente allineato ai principi cardine dell’alleanza atlantica. Il presidente uscente Erdogan è infatti in ottimi rapporti personali con Vladimir Putin, con cui trascorre, secondo fonti riservate, lunghe ore di telefonate. Riguardo al conflitto ucraino, la Turchia si è imposta come mediatrice diplomatica per eccellenza, favorendo lo stabilirsi dell’accordo sul grano che ha consentito ai battelli ucraini di esportare in sicurezza generi alimentari attraverso Ankara.
Il filo-occidentalismo di Kılıçdaroğlu potrebbe lasciare intendere che egli voglia propugnare una linea politica più esplicitamente schierata a ovest. Sospetti, evidentemente, condivisi dal Cremlino, che secondo il leader dell’opposizione sarebbe autore di campagne di disinformazione e deep-fake volte allo scopo di screditare il suo partito a vantaggio di Erdogan.
Recep Erdogan
Tuttavia, Kılıçdaroğlu sembra in realtà più che intenzionato a mantenere la linea di Erdogan. Ha più volte ribadito gli strettissimi legami economici con Mosca e la necessità di potersi approvvigionare del gas russo a un prezzo conveniente, specialmente in un momento storico in cui la Turchia vive una pesante crisi economica. Dunque, anche in caso di vittoria delle opposizioni, è difficile aspettarsi inversioni di rotta significative da parte di Ankara nello scacchiere globale: niente sanzioni alla Russia, niente armi all’Ucraina. Certe, invece, posizioni più concilianti verso l’Occidente, come lo stop al veto contro l’ingresso della Svezia nella NATO.
Politica interna: diritti civili, democrazia, LBGTQIA+, libertà di stampa
Il governo Erdogan è stato più volte accusato di violare le libertà costituzionali dei cittadini. Frequenti gli arresti di oppositori politici e giornalisti, specialmente in seguito al fallito golpe del 2016.
Kılıçdaroğlu, al contrario, ha basato la propria intera reputazione politica sulla difesa delle libertà civili e di stampa. Nel corso della cosiddetta ‘Marcia della Giustizia’, da Ankara Istanbul, il candidato premier è riuscito a mobilitare decine di migliaia di cittadini turchi, in protesta all’arresto di giornalisti e figure pubbliche. Kılıçdaroğlu ha giurato di costituire una Turchia più democratica, in cui il monopolio del potere di Erdogan non sarà più possibile. Dunque, bloccando anche i provvedimenti dell’AKP che renderebbero Erdogan rieleggibile nelle prossime elezioni.
Bursa, città della Turchia
Il leader del CHP si è anche schierato a favore di omosessuali e minoranze, affermando che nella Turchia del futuro «tutti sarebbero stati protetti» e che «gli affari privati dei cittadini non sono affare dello Stato». Affermazioni a cui sono seguite azioni: la partecipazione a comizi LGBTQIA+ e addirittura, nel 2014, la presentazione di candidati gay.
Una posizione coraggiosa, in un paese a larghissima maggioranza musulmana. E che contrasta enormemente col parere di Erdogan: «Siamo contro l’LBGT. La Turchia è fondata sulla famiglia tradizionale».
La questione curda
Un tema caldissimo, nella politica turca: quello della minoranza curda, che rifiuta il governo centrale di Ankara (con cui è in una sorta di guerra civile permanente da anni) e si è resa responsabile di dozzine di attentati estremamente sanguinosi, con decine di vittime anche minorenni.
La linea di Erdogan, inizialmente conciliante, è diventata estremamente dura a partire dal 2015, anno in cui i raid missilisti e arei sono divenuti pressoché quotidiani. Rendendolo inviso, dunque, alla minoranza di cittadini curdi che sono comunque sotto il governo di Ankara.
La posizione del CHP, in realtà, è altrettanto controversa. Il Partito Repubblicano è infatti discendente di quello di Mustafa Kemal Ataturk, padre della Turchia moderna, ma anche feroce persecutore del popolo curdo. Molti elementi nazionalisti all’interno del partito furono contrari al cessate-il-fuoco raggiunto tra governo e organizzazioni curde nel 2012.
Kılıçdaroğlu sembra tuttavia intenzionato a perseguire una politica più conciliante, pur non essendosi sbilanciato esplicitamente in affermazioni forte. Lui stesso è, infatti, parzialmente curdo, di etnia alevi (nota per le sue posizioni eterodosse rispetto all’Islam sunnita). Il candidato si è espresso contro la criminalizzazione dell’etnia curda, e anche la rimozione di sindaci curdi accusati (spesso senza prove) di legami con il terrorismo. È probabile che l’elezione di un candidato che ha rivendicato l’etnia curda potrebbe dare una svolta decisiva nel sanare un conflitto che insanguina la Turchia da quasi cinquanta anni, con decine di migliaia di morti.
La religione
Il CHP discende, come si è detto, dagli ideali laici del Kemalismo, e chiede il rispetto della Costituzione, che afferma che «Le questioni sacre non dovrebbero influire nello Stato». Il contrario rispetto ad Erdogan, la cui difesa dell’integrità sunnita è una parte integrante della sua identità politica.
Non a caso la trasformazione della Basilica di Hagia Sophia in Moschea (nel 2020), invertendo clamorosamente il procedimento di Ataturk di renderla un museo, esplicita la volontà dell’AKP di riconnettersi alla tradizione gloriosa dell’Impero Ottomano e il suo ruolo di campione dell’Islam.
Kılıçdaroğlu, al contrario, ha dichiarato esplicitamente di appartenere a una minoranza religiosa. Dunque, ci si può aspettare, in accordo con lo spirito kemalista, una Turchia più laica, più tollerante verso le correnti eterodosse e meno legata alla propaganda religiosa.
I rischi: lo spettro della guerra civile
Agli occhi del lettore occidentale, Kılıçdaroğlu appare come il candidato migliore in ogni senso: democratico, laico, tollerante, progressista. Tuttavia, il suo programma politico scuote profondamente aspetti culturali molto radicati nella società turca: l’identità islamica, il tradizionalismo, un certo risentimento verso l’Europa.
Anche nel caso di una vittoria, è probabile che ampi strati di popolazione rifiuterebbero il suo programma. Tanto più che lo schieramento dell’opposizione è tutt’altro che compatto: nella Tavola dei Sei compaiono anche partiti fortemente religiosi. Ma c’è anche l’anima nazionalista, che confligge contro la componente curda. Anche in caso di vittoria, c’è la possibilità che Kılıçdaroğlu si trovi in difficoltà a governare una coalizione così disparata, unita principalmente dall’odio contro Erdogan.
Infine, la possibilità più terrificante: che Erdogan, contro la sua promessa di rispettare l’esito delle elezioni, non riconosca la vittoria del rivale e mobiliti la popolazione e società turca (che lui controlla da decenni) imponendo il proprio predominio. Lo spettro, insomma, di una guerra civile.
La Turchia del futuro sognata da Kılıçdaroğlu potrebbe dunque essere più instabile. È la lotta tra le due anime della Turchia, quella del “Padre dei Turchi” Mustafa Kemal – il laico nazionalista che spogliò Santa Sofia della Mezzaluna – e quella che rammenta i giorni di gloria della Sublime Porta, l’impero del Sultano. Una lotta che potrebbe durare per secoli. Ma di certo, anche in caso di sconfitta, la rivincita del progressismo sembra più vicina che mai.