Donald Trump trionfa al caucus in Iowa, ora è il favorito tra i repubblicani: gli scenari sulle elezioni Usa
L'intervista a Gianluca Pastori, docente all’Università Cattolica di Milano, dopo il trionfo di Donald Trump in Iowa con uno sguardo alle elezioni Usa di novembre
Con le primarie repubblicane in Iowa si è aperta di fatto la lunga marcia che porta alle elezioni presidenziali Usa di novembre. Dopo il voto a Taiwan, e in attesa di quello in Russia (a marzo) e delle Europee (a giugno), quello americano è il principale appuntamento dell’anno, dato che le elezioni americane sono in grado di influenzare gli equilibri mondiali. Donald Trump è deciso sfidare Joe Biden per tornare alla Casa Bianca, anche se prima dovrà passare dalle primarie. Il caucus in Iowa ha confermato le previsioni della vigilia, che lo davano favorito sui principali contendenti: Nikki Haley, ex ambasciatrice all’Onu e governatore della Carolina del Sud, e Ron DeSantis, alla guida della Florida. In campo democratico, invece, la corsa verso la nomination sembra spianata per Joe Biden, che pare deciso a restare alla guida degli Stati Uniti per altri quattro anni, a dispetto dell’età. L’intervista a Gianluca Pastori, professore di Storia delle Relazioni politiche tra Stati Uniti ed Europea presso l’Università Cattolica di Milano, concessa a Virgilio Notizie.
- Donald Trump trionfa al caucus in Iowa
- Cos'è un caucus
- La prossima tappa nel New Hampshire
- L'intervista a Gianluca Pastori
Donald Trump trionfa al caucus in Iowa
Lunedì 15 gennaio l’ex presidente Donald Trump ha trionfato nella prima tappa delle primarie repubblicane in Iowa.
In meno di mezz’ora dall’apertura dei caucus, infatti, ha raccolto poco più del 50% dei voti e segnato un distacco record di circa 30 punti, oltre il doppio del primato di Bob Dole nel 1988.
Nikky Haley, candidata repubblicana
Si tratta di un risultato clamoroso, soprattutto se confrontato con quello del 2016, sempre in Iowa: allora, infatti, il tycoon era arrivato secondo.
Sette anni dopo, a sfidarsi per la medaglia d’argento sono stati Ron DeSantis e Nikky Haley, col primo davanti, anche se lo scarto è così basso (21,2% a 19%, col 94% dei voti scrutinati) che non fa una differenza sostanziale, lasciando aperta la gara su chi tra i due potrà tentare di proporsi come alternativa all’ex presidente.
Ron DeSantis, l’altro sfidante di Donald Trump
Nel frattempo si è ritirato l’imprenditore tech di origini indiane Vivek Ramaswamy (quarto col 7,7%), che ha dato il suo endorsement proprio a Trump.
Cos’è un caucus
Il caucus è un sistema di scelta del candidato di un partito – diverso dalle primarie – che presuppone un dibattito politico diretto con la popolazione dello Stato in cui si tiene.
Sostanzialmente, è un’assemblea locale in cui gli elettori registrati scelgono il candidato repubblicano alla presidenza che sfiderà quello democratico con il voto di novembre.
Durante un caucus, i candidati del partito salgono sul palco e illustrano la loro agenda al pubblico.
Generalmente, ci sono due sistemi elettorali in un caucus:
- voto segreto degli elettori: i voti vengono distribuiti proporzionalmente ai delegati del partito che voteranno per un candidato in un’assemblea successiva;
- voto palese degli elettori: gli elettori si schierano fisicamente in base al loro candidato e, insieme ai candidati, si muovono per convincere gli indecisi a unirsi a loro o altri elettori a cambiare voto sul candidato. In questo caso, il voto non è segreto e comporta un grado più elevato di coinvolgimento politico.
La prossima tappa nel New Hampshire
La prossima tappa per Donald Trump sarà nel New Hampshire martedì 23 gennaio, con l’ex ambasciatrice Onu Nikky Haley favorita.
Quest’ultima, congratulatasi con l’ex presidente, ha dichiarato che “se lui sarà il candidato, Joe Biden può vincere di nuovo“.
E lo stesso Biden, subito dopo il risultato in Iowa, ha riconosciuto che è Donald Trump “il favorito per la nomination repubblicana”.
L’intervista a Gianluca Pastori
Il caucus in Iowa ha aperto la lunga stagione elettorale negli Usa. A pesare sulla nomination di Donald Trump, però, c’è l’attesa del ricorso presentato contro la corte del Colorado che lo ha escluso dalle primarie per la violazione del 14° emendamento, che impedisce la candidatura ai funzionari pubblici che “sono stati coinvolti in un’insurrezione”, come l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio del 2021. Cosa ci si aspetta dal ricorso di Trump e cosa potrebbe accadere nel caso in cui venisse respinto?
“Difficile prevedere il pronunciamento del ricorso in Colorado come in quello nel Maine. Nel primo caso è stato presentato presso la Corte suprema federale ed è anche il più avanzato. Ma c’è anche il ricorso nel Maine, che ha escluso dalle primarie Trump con un atto del segretario di Stato, quindi di tipo amministrativo. Significa che, dopo il ricorso alla Corte suprema dello Stato, ci si potrà eventualmente appellare alla Corte suprema federale, con tempi destinati a prolungarsi”.
È immaginabile l’eventuale esito dei ricorsi o è troppo azzardato?
“Più che chiedersi cosa potrebbe accadere in caso di pronunciamento negativo, mi chiederei se questo arriverà in tempo. Se così non fosse sarebbe un disastro, senza peraltro precedenti di questo tipo nella storia americana. Non dimentichiamo, comunque, che l’esclusione di Trump dalle primarie non è affatto certa: si parla molto delle due sentenze contro il candidato repubblicano, ma di ricorsi analoghi ne sono stati presentati in una trentina di Stati. In una decina è stata rifiutata l’esclusione dalle primarie, quindi Trump è autorizzato a correre, mentre in molti altri il giudizio è pendente. Insomma, regna davvero una grande incertezza”.
Dopo l’Iowa quali sono le possibilità per gli altri candidati repubblicani?
“Si potrebbe assistere a un effetto traino anche per i prossimi appuntamenti delle primarie repubblicane, anche se la popolarità della Haley è cresciuta parecchio. Quanto agli altri sfidanti, Ron DeSantis appare in declino. Dopo essere stato relativamente vicino a Trump, tanto da poter rappresentare temporaneamente un’alternativa credibile, ha pagato il fatto di aver voluto essere troppo simile al maestro. I repubblicani, quindi, si sono chiesti perché scegliere una copia quando potevano puntare sull’originale”.
Se Trump restasse in corsa, la sua nomination apparirebbe in discesa. Quali sono, invece, le prospettive per i democratici? Come mai non si è riusciti a trovare un candidato più giovane, in contrapposizione all’84enne Biden?
“L’età è certamente un punto di vulnerabilità per Biden, che non sembra aver convinto del tutto gli elettori per altri motivi. Gli indici di popolarità sono stati in costante declino, dalla sua elezione e fino a poche settimane fa. Adesso si è stabilizzato, ma pare che puntare su di lui sia stato l’esito di una mancanza di alternative. Alle primarie del 2020 il partito era diviso e litigioso, questa volta sembra essersi allineato intorno a Biden, come se non avesse trovato una composizione tra le varie anime, come se fosse il male minore. Ma resta molto debole, sia per l’età, sia per alcune scelte di politica estera: dal disimpegno in Afghanistan, alla situazione di vicolo cieco in Ucraina, senza dimenticare la crisi in Medio Oriente dove, a dispetto di molto attivismo, si sono ottenuti finora pochi risultati. Insomma, appare come un presidente debole”.
In caso di sfida diretta tra Trump e Biden, quale sarebbe il miglior candidato per l’Europa?
“Sicuramente l’Europa preferirebbe Biden, perché si colloca in una prospettiva multilateralista: è un vecchio uomo della Guerra fredda per il quale il rapporto con gli alleati è fondamentale. Questo, però, vale anche per molti Paesi asiatici come Giappone, Corea del Sud e Taiwan, fresca di elezioni. Con Trump, invece, è pensabile un ritorno alle tensioni che hanno caratterizzato il suo mandato dal 2016 al 2020. Anche senza arrivare a pensare che sia fondata la sua volontà di uscire dalla Nato, l’Europa saprebbe già cosa aspettarsi da Trump e non lo gradirebbe”.
Guardando alla crisi in Medio Oriente, cosa potrebbe cambiare in caso di vittoria di Trump?
“Certamente è stato ed è molto più vicino a Israele, almeno pubblicamente. Anche Biden è filo-israeliano, ma ciò che conta è soprattutto l’atteggiamento di Israele verso gli Usa, e non viceversa. Netanyahu ha molto più feeling con Trump e non può che essere così visto che Biden è stato il vice di Obama, cioè il presidente con il quale i rapporti tra Tel Aviv e Washington non sono stati ottimali, anzi si sono registrate sgarberie diplomatiche abbastanza evidenti”.
A proposito di Asia, quale sarebbe il futuro presidente Usa meno ostile o temuto?
“Con Trump c’era stato un disgelo con la Corea del Nord, ma più formale che sostanziale. Diciamo che l’Asia continua a beneficiare di una politica estera statunitense a tratti ambigua, con Washington che fatica a prendere una posizione chiara e decisa con gli alleati asiatici, e questo apre a spazi d’azione da parte di Paesi più opportunisti come la Corea del Nord. Credo che a impensierire non sia tanto una scelta di campo precisa degli Usa, quanto il fatto che da tempo gli Stati Uniti oscillano, anche in maniera molto rapida. Quanto alla Russia, per Putin sarebbe preferibile una vittoria di Trump, per tante ragioni: intanto, perché la sua politica non è fondata su principi etici, morali e giuridici, che sono piuttosto invisi a Mosca. Poi perché con un nuovo ripiegamento degli Usa sul fronte estero ci sarebbero ampi margini d’azione per la Russia. Questo non significa che Trump e Putin andrebbero d’accordo, ma al Cremlino lo preferirebbero a Biden”.