,,

Dopo 24 anni, non c'è quasi nulla di sicuro sul delitto di Marta Russo

Una ricostruzione dei fatti della Sapienza del 9 maggio 1997. E di tutto quanto venne dopo. Non c'è quasi nulla di sicuro sul delitto di Marta Russo

Di: VirgilioNotizie | Pubblicato:

Il caso di Marta Russo rappresenta, ancora oggi, una ferita aperta nell’opinione pubblica italiana. Non smettiamo di tornare a indagare, a guardare da un punto di vista differente, a scavare, non soltanto nei fatti di quel 9 maggio 1997, ma anche in tutto quello che venne dopo: le indagini controverse e le prove fragilissime sulla base delle quali furono condannati i due imputati, che ancora oggi si definiscono innocenti.

L’impatto mediatico del caso (né parlò anche il presidente del Consiglio dell’epoca, Romano Prodi) contribuì ad accumulare una forte pressione sugli inquirenti che si videro “obbligati” a dare un nome e un cognome al colpevole. Le indagini non potevano essere archiviate con una denuncia contro ignoti, un responsabile di quanto successo quella mattina di più di 24 anni fa doveva essere a tutti i costi trovato. Ma quale fu, di preciso, la dinamica dell’assassinio di Marta Russo?

Cosa successe di preciso la mattina in cui Marta Russo fu uccisa

La ragazza 22enne stava passeggiando con un’amica in un vialetto della Città Universitaria della Sapienza di Roma insieme a un’amica. Si trovava alle spalle della facoltà di Giurisprudenza, a cui era iscritta, qui la strada passa sotto il palazzo della sede universitaria ed è sovrastata da finestre per 3 lati su quattro. Il colpo di pistola, secondo l’amica che era con Marta Russo quella mattina, fu attutito e sordo. Marta fu colpita alla nuca, cadde all’indietro ed entrò in coma. Nei momenti successivi corsero voci di una ragazza che aveva avuto un malore alla Sapienza, ma fin dall’inizio questa versione della storia si accompagnò a quella di un tentato omicidio, come risulta anche dalle registrazioni delle telefonate alle forze dell’ordine.

Cinque giorni dopo Marta Russo morì in ospedale e i funerali furono molto partecipati: migliaia le persone che accompagnarono la salma dell’ex studentessa. Le indagini si concentrarono inizialmente su una matrice politica – il 9 maggio 1978 fu ucciso Aldo Moro – quindi su un ex fidanzato di Marta. Entrambi i filoni di inchiesta si rivelarono vicoli ciechi. Andò diversamente con i risultati di una perizia che stabilì come un proiettile fu sparato da una finestra dell’istituto di Filosofia del Diritto e precisamente dall’Aula 6. Si stabilì che, alla stessa ora in cui partì il colpo, all’interno dell’Aula 6 era presente Maria Chiara Lipari, dottoranda. Nei momenti dell’omicidio, Lipari aveva fatto 2 telefonate. Interrogata dalla procura, cambiò la propria versione della storia più volte: innanzitutto disse di essere stata da sola, poi chiamò in causa due assistenti, Gabriella Alletto, dipendente dell’istituto, Francesco Liparota, usciere. Successivamente, la Corte di Assise giudicò non affidabile la perizia che aveva orientato le indagini della Procura e Lipari, parlando di Liparota, disse che ne ricordava la presenza a “livello subliminale”.

Le indagini proseguono tra forzature e contraddizioni

La Procura mise sotto torchio la dipendente Alletto con una lunga serie di interrogatori, non interamente verbalizzati e in almeno un caso strutturati come un tour de force della durata di 12 ore. Da Alletto vengono quindi fuori altri nomi: quello dell’usciere, ancora una volta, e quelli di due dottorandi, Salvatore Ferraro e Giovanni Scattone. La Procura si convinse che a far partire il colpo sarebbe stato proprio Scattone. Va subito detto però che il lavoro d’indagine parallelo portato avanti dai media ha messo in luce come l’interrogatorio di Alletto non fosse avvenuto in condizioni normali. Da alcune registrazioni infatti si evince che gli investigatori hanno quasi preteso alcuni nomi da Alletto, suggerendo alla dottoranda che, in mancanza di tali nominativi, sarebbe divenuta lei, Alletto, la principale indagata dell’omicidio di Marta Russo.

Scattone e Ferraro vengono arrestati: inizia il processo, l’ipotesi del delitto perfetto

Scattone e Ferraro furono arrestati oltre un mese dopo l’omicidio di Marta Russo, il 14 e il 15 giugno. I giornali li descrissero come due persone mentalmente instabili e fece molto clamore la notizia, a dir la verità smentita da diversi testimoni oculari, di una presunta lezione dei due sul delitto perfetto. Va sottolineato che, anche se fosse avvenuta davvero, una lezione del genere non poteva evidentemente rappresentare una prova a carico dei due. Nessuna pistola fu trovata. Invece il secondo grado di giudizio mise in discussione la perizia che aveva determinato l’attività investigativa della Procura. Nonostante tutto, l’ipotesi del “delitto perfetto” divenne il movente con cui Ferraro e Scattone furono portati a processo e condannati al primo grado di giudizio. In particolare, Scattone fu condannato a 7 anni per possesso di arma da fuoco e omicidio colposo. Ferraro invece fu condannato a 4 anni per possesso di arma da fuoco e favoreggiamento. L’arma da fuoco, nonostante le condanne, non fu però mai trovata.

La tesi che venne accolta in primo grado fu che Scattone aveva portato in Università una pistola, dalla quale partì accidentalmente il colpo che ferì mortalmente Marta Russo. La Corte d’Appello confermò la sentenza in primo grado, ma non fece lo stesso la Cassazione. La motivazione della Cassazione fu di “manifesta illogicità”. Il movente del “delitto perfetto” era caduto, ma quando il processo tornò in secondo grado, dopo il pronunciamento della Cassazione, la Corte d’Appello confermò nuovamente il primo grado. Quindi il processo tornò in terzo grado dove stavolta le condanne furono confermate ma senza il possesso di arma da fuoco. Risultarono ridotte: a 4 anni e 2 mesi, nel caso di Ferraro, e a 5 anni e 4 mesi, nel caso di Scattone.

I problemi di Scattone non finirono con il carcere. Nel 2015 ad esempio si trovò costretto a rinunciare all’insegnamento in un liceo romano dopo che alcuni genitori protestarono contro l’assegnazione della cattedra.

Un libro, un podcast e un documentario sul caso Marta Russo

Come si è sottolineato in apertura, il caso Marta Russo fa ancora discutere. Nel 2021, ad esempio, la Rai ha prodotto un documentario intitolato “Marta. Il delitto della Sapienza”. A parlare alla telecamere sono i protagonisti delle vicende della Sapienza del 1997. La lettura dei diari di Marta però accompagna la ricostruzione dell’omicidio e del processo che ne scaturì, restituendo allo spettatore uno spaccato non soltanto della morte, ma anche della vita della studentessa. Chiara Lalli e Cecilia Sala hanno inoltre scavato negli archivi i documenti e le registrazioni dell’epoca, riaprendo a freddo un caso con pochissime certezze. Ne è venuto fuori un popolare podcast, intitolato “Veleno”, e un libro pubblicato lo scorso 25 maggio, dal titolo di “Polvere:  Il caso Marta Russo”.

Russo - Delitto Fonte foto: ANSA
,,,,,,,,