Torino, palazzina crollata: il racconto dei genitori del bimbo morto
Nertila e Genci si erano trasferiti a Torino alla ricerca di un futuro migliore per i propri figli, ma il crollo gli ha portato via il piccolo Aron
Non si dà pace la madre del piccolo Aron, 4 anni a maggio, morto sotto le macerie della casa crollata a Torino in strada Bramafame 42. Ancora dolorante per le ferite alle gambe e alla testa, Nertila Tila, 34 anni, ha raccontato a Repubblica cosa è successo poco dopo le 9 del mattino del 24 agosto. “È venuto giù tutto in un attimo, Aron era sul letto in camera che dormiva, io lo vedevo ma non potevo fare niente per raggiungerlo perché ero stata travolta da quello che è venuto giù ed ero bloccata”. Solo molte ore dopo il crollo e in presenza di uno psicologo le è stata data l’orribile notizie della morte del bambino.
La donna e il marito Genci, insieme ai loro tre figli, si erano ricongiunti tre anni fa a Caserta. L’uomo era arrivato dall’Albania nel 1999. Solo il giorno prima dell’incidente si erano trasferiti al Nord, nella fatiscente palazzina in cui una stanza divisa in due da un muro di cartongesso, senza luce né gas era diventata la loro nuova casa. “Volevamo dare un futuro migliore ai nostri figli”, ha dichiarato Genci, 40 anni, a Repubblica.
La mattina del 24 agosto i due coniugi si erano alzati all’alba per finire di scaricare la macchina e sistemare nell’appartamento vestiti, giochi, documenti e soldi, che ancora giacciono sotto le macerie. Il marito era andato a lavorare in cantiere, per poi ricevere la chiamata che ha interrotto il suo primo giorno di lavoro solo dopo un’ora e mezzo.
“Ci siamo trasferiti ora per avere il tempo di iscrivere i figli a scuola”, ha spiegato Genci. “Pensavamo che qui avrebbero avuto delle possibilità in più. E pensavamo anche che mia moglie potesse trovare lavoro in una grande città come Torino. Lei è parrucchiera ed estetista. Aveva cercato ovunque dove abitavamo prima ma non aveva trovato niente”.
L’appartamento crollato gli era stato prestato da un cugino, che ci aveva abitato alcuni mesi prima e non aveva ancora disdetto il contratto. “Appena siamo arrivati in casa abbiamo sentito una puzza di gas molto forte, ma erano le dieci, in quella casa non conoscevamo nessuno e abbiamo pensato di aprire subito le finestre, così pensavamo di stare tranquilli”.
Doveva essere una sistemazione momentanea, in attesa di parlare con l’agenzia immobiliare il giorno seguente e iniziare a vedere case meglio attrezzate. In quella “non potevamo starci tutti. C’era solo un letto matrimoniale nella camera e un divano in cucina. Ma soprattutto non c’era neanche la luce, non si poteva cucinare”.
“Quella sera ci siamo aggiustati con le pizze per cena. Poi i due figli più grandi sono andati a dormire dai cugini, e noi tre ci siamo sistemati nel lettone. Adesso non so più cosa fare. Non so se voglio rimanere qui dove tutto sarà sempre legato alla morte di Aron, non so neanche se voglio restare ancora in Italia. Adesso voglio solo giustizia. E se qualcuno è la causa di tutto questo dolore voglio che paghi”.