Covid, chi sono i nuovi ricoverati in terapia intensiva
Cambia l'identikit dei pazienti malati di Covid ricoverati nei reparti di terapia intensiva in Italia
L’evoluzione della pandemia di coronavirus in Italia, con il recente boom di nuovi casi di Covid-19, ha modificato parzialmente l’identikit delle persone malate che vengono ricoverate nei reparti di terapia intensiva del nostro Paese.
A tracciare il nuovo identikit sono stati, sulle colonne de ‘Il Messaggero’, Massimo Antonelli (direttore del dipartimento di Anestesia e rianimazione del Policlinico Gemelli di Roma e componente del Cts), Giacomo Grasselli (responsabile della terapia intensiva adulti del Policlinico di Milano e membro del coordinamento delle terapie intensive della Lombardia) e Alessandro Vergallo (presidente dell’Aaroi-Emac).
Antonelli ha detto: “Quelli che arrivano da noi sono tutti pazienti che hanno una gravità sostanzialmente identica a quella che vedevamo nei mesi di marzo e aprile. Il virus è lo stesso e lo stesso è il modo con cui colpisce. C’è forse una differenza nel fatto che l’età media è un po’ più bassa“.
Poi ha spiegato: “Prima vedevamo prevalentemente malati con un’età più avanzata, cioè quelli definiti più fragili, tra i 65 e gli 85 anni. L’età mediana, allora, era di 62 anni. Ora ci ritroviamo, oltre ai pazienti anziani, anche un folto gruppo di più giovani, tra i 40 e i 70 anni“.
Ancora Antonelli: “In alcuni casi non ci sono patologie pregresse, sono persone che stanno apparentemente bene. in altri casi si riscontrano quelle concomitanze osservate anche in passato, per esempio pazienti ipertesi o spesso diabetici“.
Giacomo Grasselli ha dichiarato: “Da noi i malati giovani ci sono stati anche prima. Ora avuto anche trentenni. Adesso di sicuro c’è qualche giovane in più, tantissimi 40enni e 50enni, ma anche 60 e 70enni”.
Ancora Grasselli: “Nei giovani, quello che si osserva anche con i casi gravi dell’influenza oltre che con il Covid, è che molti sono in sovrappeso. Proprio per questo spesso acquisiscono una forma grave dell’infezione”.
Vergallo ha affermato: “Abbiamo assistito a un abbassamento di poco meno di 10 anni. Il dato, però, è poco significativo sotto il profilo dell’andamento dell’infezione, poiché la forbice anagrafica è estremamente ampia e va dai 30 ai 90 anni”.