Coronavirus, scoperti diversi danni al cuore: la nuova anomalia
Due pazienti su tre, ricoverati per coronavirus, hanno presentato anomalie al cuore: uno studio ha fornito le prove
Il coronavirus, come è ormai noto, colpisce diversi organi delle persone contagiate tra cui il cuore. A entrare nel dettaglio è un nuovo studio, pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology e condotto presso la Icahn School of Medicine a Mount Sinai. Nella ricerca, come riporta Ansa, sono stati coinvolti anche pazienti di due ospedali milanesi.
Una nuova complicanza, in particolare, è stata osservata in quasi due pazienti su tre ricoverati per Covid che sono stati sottoposti a ecografia: si tratta di differenti tipi di danni strutturali al cuore.
Coronavirus e danni al cuore: lo studio
Lo studio è basato sui dati clinici dell’ecocardiogramma, ovvero l’ecografia del cuore, coinvolgendo in tutto 305 pazienti.
Il primo autore del lavoro, il dottor Gennaro Giustino del Mount Sinai Hospital, ha dichiarato: “Si tratta di uno dei primi studi che fornisce dettagliati dati ecografici e di elettrocardiogramna per pazienti ospedalizzati per Covid-19 e prove di laboratorio di danno del cuore“.
“Abbiamo trovato – ha aggiunto – che diverse anomalie strutturali cardiache sono presenti in quasi i due terzi dei pazienti Covid-19 sottoposti ad ecocardiogramma”.
Covid, quali sono le anomalie cardiache
Le anomalie osservate sono diverse: per il 26,3% si tratta di disfunzioni del ventricolo destro, collegabili a embolia polmonare o scompenso respiratorio.
Nel 23,7% dei casi, invece, riguardano il ventricolo sinistro e sono associabili ad arresto cardiaco, mentre per il 18,4% sono associabili a scompenso cardiaco e miocardite.
Se alcune di queste anomalie sono state osservate già al momento del ricovero, altre sono invece sorte nei giorni successivi.
Danni al cuore per Covid: cosa fare
Dallo studio è emerso che l’elettrocardiogramma è uno strumento importantissimo nell’identificazione precoce dei pazienti a più alto rischio di danno cardiaco correlate al coronavirus. Per questi pazienti, secondo i ricercatori, potrebbe essere utile un approccio terapeutico più aggressivo sin dall’inizio dell’ospedalizzazione.