Coronavirus, perché il Sud è più protetto: la risposta è nel Dna
Uno studio sul Dna ha rilevato la presenza di due geni che potrebbero aver favorito la diffusione del coronavirus nelle zone più colpite
La natura del coronavirus continua a essere circondata di misteri, e nonostante le ipotesi e gli studi che fioriscono ogni giorno, sono ancora molte le domande a cui gli studiosi non hanno trovato una risposta univoca. Una di queste domande è perché, in Italia, il Covid-19 abbia colpito il Nord con maggior forza rispetto al Sud e le isole. Un nuovo studio, stavolta focalizzato sul Dna piuttosto che sulle condizioni climatiche differenti fra le zone d’Italia, ha provato a fare chiarezza sul tema.
Coronavirus, al Sud due geni che fanno da “scudo”
Antonio Giordano, scienziato italiano negli Usa, ha guidato una equipe di ricercatori che ha scandagliato il Dna per trovare un possibile “scudo genetico” che avrebbe contenuto i danni del coronavirus nelle aree meno colpite.
Lo studio è stato pubblicato sull’International Journal of Molecular Sciences. Stando a quanto spiegato all’Adnkronos Salute dallo stesso Giordano, esistono due geni che “potrebbero conferire maggiore suscettibilità all’infezione” da coronavirus, e che “differiscono per distribuzione nelle popolazioni delle varie regioni, con un sensibile divario Nord-Sud“.
In particolare, a fare la differenza sono “due alleli dell’Hla, un insieme di geni altamente polimorfici che hanno un ruolo chiave nel modellare la risposta immunitaria antivirale”, che “correlano positivamente con i casi di Covid-19 registrati nelle diverse province del nostro Paese in periodo di piena pandemia”.
Come sono stati individuati i due alleli dell’Hla
Attraverso “uno studio geografico, di tipo ecologico”, il gruppo di ricercatori ha preso in considerazione gli alleli Hla che apparivano in una diversa frequenza nelle regioni italiane, per scoprire se ci fosse una correlazione con l’incidenza del Covid-19. È quindi emersa “una serie di 7 alleli Hla di classe I che mostravano un’associazione positiva con i dati di incidenza Covid-19 forniti dalla Protezione civile, e 3 alleli Hla di classe I che mostravano un’associazione negativa”.
Di questi dieci alleli, soltanto due “mantenevano un’associazione positiva e indipendente con l’incidenza di Covid-19, suggerendo che queste varianti potrebbero essere permissive all’infezione virale“. In particolare, in Emilia Romagna e Marche, in Emilia Romagna e nelle Marche, “la prevalenza dell’allele B44 sembra quasi esattamente predire l’incidenza di Covid-19“.
Le conclusioni dello studio
Come riporta l’Andkronos Luciano Mutti, dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine e co-autore dello studio, ha affermato: “L’identificazione di alleli Hla permissivi o protettivi nei confronti dell’infezione da coronavirus potrebbe fornire informazioni preziose per la gestione clinica dei pazienti, oltre a definire priorità nelle future campagne di vaccinazione in un modo facile ed economico”.
Giovanni Baglio, epidemiologo del Ministero della Salute e coautore della ricerca, ha spiegato che “gli studi geografici sono spesso i primi a identificare i fattori di rischio per una varietà di malattie. Saranno poi necessari studi caso-controllo per confermare questi risultati in coorti di pazienti Covid-19″.
Antonio Giordano ha quindi concluso: “In sintesi gli alleli Hla B44 e C01 potrebbero conferire maggiore suscettibilità all’infezione da Covid-19, ed è in corso uno studio caso-controllo su pazienti di tutta Italia in cui è stata riscontrata positività all’infezione per verificare quanto è emerso dal nostro studio ecologico”.