Coronavirus, il nodo dei guariti: quando non sono più contagiosi
Secondo una ricerca la gestione delle persone guarite sarà fondamentale per evitare una seconda ondata di contagi
La curva dei contagi da coronavirus in Italia sembra rallentare e in molti, tra esperti e decisori politici, stanno iniziando a pensare al ‘dopo’, quando l’emergenza finirà. Uno studio dell’Istituto Mario Negri di Bergamo, realizzato in collaborazione con l’Istituto Superiore di Scienze Sociali di Parigi e ripreso dal Corriere della Sera, ha posto l’accento sulla questione delle persone guarite da Covid-19, la cui gestione sarà fondamentale per evitare una seconda ondata dell’epidemia.
Si tratta di un numero molto elevato di persone, poco meno di 90mila secondo gli ultimi dati ufficiali, e che è destinato a crescere: secondo stime si potrebbe arrivare a giugno a 130mila.
A questi si aggiungono i tanti casi di contagiati a cui non è stato fatto il test, perché asintomatici o per problemi logistici: a causa del sovraccario di lavoro negli ospedali, specie in Lombardia, molti infetti con sintomi lievi non sono stati ricoverati e non hanno fatto il tampone. Secondo le stime di diversi esperti, il numero reale di contagiati è circa quattro o cinque volte quello ufficiale.
Secondo i ricercatori del Mario Negri, gestire al meglio il ritorno alla vita normale di tutte queste persone sarà cruciale per evitare una nuova ondata di contagi.
Si può infettare altre persone, spiegano, anche dopo la scomparsa della febbre e dei sintomi più gravi. Si può essere ‘guariti’ dalla malattia e continuare ad essere contagiosi.
Secondo lo studio, in media i pazienti gravi diffondono il virus per 20 giorni, ma in alcuni casi questo periodo può durare fino a 37 giorni. Per i malati lievi la durata media è di 10 giorni, fino alle due settimane.
Solo un tampone negativo può assicurare che si sia realmente guariti e non più contagiosi. Attualmente, in caso di ricovero in ospedale, per poter essere dimesso un malato deve avere due tamponi negativi fatti a distanza di un giorno.
Per questo, scrivono i ricercatori, è necessario potenziare la capacità di effettuare test diagnostici e “sviluppare un metodo razionale e diffuso per combattere l’epidemia a livello individuale e collettivo”.