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Concessioni balneari, corsa contro il tempo: cos’è la direttiva Bolkestein e perché Meloni vuole cambiarla

Dopo anni di proroghe automatiche, il governo Draghi e il Consiglio di Stato hanno bloccato il meccanismo: le nuove scadenze per i bandi nel 2023

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La condizione assai precaria dei conti pubblici italiani ha costretto il governo di Giorgia Meloni a rivedere molte delle misure di bandiera annunciate nel corso della campagna elettorale. Nonostante l’esito elettorale del 25 settembre 2022 le abbia consegnato una larga maggioranza in Parlamento, la leader di Fratelli d’Italia si è ritrovata fin dalle prime settimane di lavoro a confrontarsi con una situazione economica e finanziaria che non garantisce gli ampi margini di manovra da lei auspicati.

In particolare, la presidente del Consiglio ha dovuto concentrare le proprie forze nel reperire le risorse necessarie da destinare a milioni di famiglie e migliaia di imprese messe in ginocchio dal caro bollette. L’aumento senza precedenti del costo dell’energia elettrica sta mettendo a rischio la stabilità di molti cittadini: per questo la premier intende inserire nella prossima legge di Bilancio oltre 21 miliardi di euro per sostenere la spesa degli italiani, mentre altri 9 miliardi sono già confluiti nel decreto Aiuti quater.

Concessioni balneari, Meloni sfida l’Europa sulla direttiva Bolkestein

Tuttavia, le conseguenze dell’emergenza energetica non hanno oscurato del tutto i temi su cui il centrodestra ha incentrato la propria comunicazione mediatica durante la corsa al voto. Tra le polemiche per il decreto sui rave party e il duro scontro con la Francia sulle politiche migratorie, c’è un’altra questione che è tornata ad occupare una posizione centrale nelle dichiarazioni degli esponenti della maggioranza.

Stiamo parlando della normativa sulle concessioni balneari, una questione che ciclicamente torna d’attualità nel dibattito pubblico e che nel corso degli anni ha rappresentato un vero e proprio terreno di scontro tra il nostro Paese e le istituzioni europee.

Concessioni balneari, le proroghe infinite e la svolta con Mario Draghi

Con l’arrivo del 2023, il rinnovo delle autorizzazioni per chi gestisce le spiagge farà di nuovo capolino nel confronto tra i partiti. Questo in virtù dello stop voluto durante la scorsa estate dall’esecutivo di Mario Draghi. Con l’approvazione del Ddl Concorrenza (entrato in vigore il 27 agosto 2022), l’ex capo della Bce ha bloccato le proroghe alle concessioni balneari che per oltre un decennio sono state rinnovate “di default” da parte dei diversi governi che si sono succeduti.

È successo nel 2009, quando il quarto governo guidato da Silvio Berlusconi decise di confermare le licenze di utilizzo dei litorali italiani fino al 2015. Lo stesso schema si è riproposto con l’arrivo di Mario Monti a Palazzo Chigi: nel 2012 l’allora premier prorogò i contratti con i soggetti concessionari fino al 2020.

L’ultima replica si è avuta con Giuseppe Conte, che durante il governo gialloverde estese la validità degli accordi addirittura fino al 2033. Un meccanismo che non ha eguali all’interno del nostro apparato legislativo, dove le procedure di assegnazione di qualsiasi diritto garantito dalla Stato devono sempre passare attraverso dei periodici bandi pubblici.

Concessioni balneari, lo stop del Consiglio di Stato e le battaglie di Matteo Salvini

Prima dello stop voluto da Draghi, all’inizio del 2022 era stato il Consiglio di Stato ad intervenire per bloccare i rinnovi automatici. L’organo giuridico aveva sottolineato la palese scorrettezza delle continue proroghe per le concessioni balneari. Di conseguenza, i magistrati hanno imposto l’obbligo di gara pubblica per l’assegnazione di tutti i permessi futuri.

Un cambio di paradigma auspicato anche dall’Unione europea, che già nel 2020 aveva inoltrato un rimprovero ufficiale all’Italia per l’incapacità di modificare la prassi nonostante i diversi avvertimenti. L’istituzione guidata da Ursula von der Leyen si richiama all’attuazione della direttiva Bolkestein, che dal 2006 impone lo svolgimento di procedure pubbliche, imparziali e trasparenti per l’affido delle concessioni balneari.

Fonte foto: ANSA

La legge è divenuta celebre nel nostro Paese per le tante critiche mostrate nei suoi confronti dal segretario della Lega Matteo Salvini. Anche durante i comizi più recenti, il capo del Carroccio ha sempre ribadito la propria volontà di “smontare pezzo per pezzo, riga per riga” una normativa che lui ritiene vada “superata, archiviata e cancellata”.

Concessioni balneari, quando scadono e cosa rischia l’Italia nel 2023

Con l’intervento dello scorso anno, il Consiglio di Stato ha fissato la nuova scadenza delle licenze al 1° gennaio 2024. Contestualmente, il successivo Ddl Concorrenza ha indicato a febbraio del 2023 la deadline per l’emanazione dei decreti con i criteri per lo svolgimento delle gare pubbliche.

Una doppia stretta che oggi costringe il governo di Giorgia Meloni a muoversi con estrema rapidità per evitare di sforare questi limiti temporali: il rischio più concreto è che l’Unione europea decida di aprire una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, un provvedimento minacciato da tempo ma per ora mai applicato.

Fonte foto: ANSA

Dopo un confronto approfondito con il ministro Nello Musumeci (titolare del dicastero per le politiche del Mare), lo scorso 3 novembre la premier si è rivolta con una lettera agli attuali gestori, tentando di rassicurarli: “Il nostro governo difenderà le imprese balneari italiane e le famiglie che lavorano nel settore. L’Italia non può permettere che le spiagge finiscano in mano a chissà chi, con il rischio di distruggere un tessuto economico sano e di mettere in pericolo anche l’integrità dell’ambiente”.

Concessioni balneari, quanto valgono i canoni di gestione per le imprese

Ora si attende di capire quali saranno le prossime mosse che l’esecutivo ha in mente per sbrigare la matassa. La questione non è di poco conto, anche se i numeri mostrano alcune contraddizioni: ad oggi le concessioni balneari attive nel nostro Paese sono 12.166 e fruttano all’erario pubblico statale un incasso medio annuo pari a 101,7 milioni di euro (dati raccolti da Confcommercio nel quinquennio tra il 2016 e il 2020).

Una cifra di tutto rispetto, ma ben lontana dal giustificare un interesse pubblico così marcato. Infatti sono in molti a pensare che, nel corso degli anni, i canoni di gestione per i titolari delle concessioni siano rimasti estremamente bassi rispetto agli introiti che le licenze garantiscono, quasi sempre molto alti.

La spesa annua per un imprenditore balneare non oltrepassa i 2.700 euro: con l’inflazione galoppante degli ultimi tempi che ha imposto un rincaro in tutti gli ambiti della società, lo stesso valore rientra nelle sue tasche con solo due ombrelloni affittati a 15 euro al giorno per tre mesi. Tutto il rimanente guadagno di una stagione non viene toccato, restando fra le sue mani.

Fonte foto: ANSA
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