Come sarà il nuovo Parlamento dopo le elezioni Europee: in quali gruppi entreranno gli eurodeputati italiani
Come si posizioneranno gli eurodeputati italiani, come sarà il nuovo Parlamento dopo le elezioni Europee e quali saranno i rapporti col resto del mondo
E adesso che succede? Dopo le elezioni Europee è il momento del posizionamento delle forze in campo per la formazione di un nuovo Governo Ue, che passa necessariamente dalla composizione dei gruppi politici. Quello più consistente si conferma essere il Partito popolare europeo (Ppe), che dai 176 seggi della legislatura uscente passa ai 186 di quella che si sta per inaugurare (25,83%). Il secondo gruppo è rappresentato dall’alleanza progressista dei Socialisti e Democratici (S&D), con 135 seggi (19,71%, 4 in meno rispetto alla passata legislatura). Seguono i Liberali di Renew Europe, con 79 seggi (erano 102), corrispondenti al 10,97%. Insieme corrispondono alla maggioranza Ursula e arriverebbero a 400 seggi, ben al di sopra della maggioranza relativa (361 su 720). Ci sono poi i conservatori (Ecr), i rappresentanti di Identità e democrazia, Verdi e la Sinistra. Ma in quali gruppi entreranno gli eurodeputati italiani appena eletti? L’intervista a Piero Ignazi, politologo e professore Alma Mater dell’Università di Bologna.
Dove si collocherebbero gli europarlamentari italiani, a partire da FdI e FI?
“La collocazione dei partiti di maggioranza italiani rimane quella precedente: erano in tre gruppi diversi e resteranno tali. In particolare Forza Italia continuerà a far parte dei Popolari, Fratelli d’Italia dei cosiddetti Conservatori, mentre la Lega rimane nel gruppo di Identità e Democrazia. Sono tre gruppi diversi che hanno e continueranno ad avere collocazioni diverse in Europa e questa è un po’ una contraddizione della nostra destra, che invece in Italia governa insieme”.
Si è parlato, in particolare, del risultato della Lega in termini di ridimensionamento e dei suoi rapporti con alcune formazioni di estrema destra, come AfD in Germania. Cosa ne pensa?
“Dei rapporti con altre formazioni europee, si è detto tutto e il contrario di tutto. I risultati elettorali indicano che la Lega non esce ridimensionata. Lo è – anche in modo marcato – solo se si guarda al dato delle precedenti elezioni europee, quando però anche Fratelli d’Italia aveva ottenuto solo il 6%. Per questo non credo sia il confronto migliore da fare. Se, invece, si guarda al risultato del 2020, ha preso qualcosa in più, ma continuerà comunque ad avere una posizione euroscettica”.
Guardando al campo progressista, Elly Schlein potrebbe essere la guida dei socialisti europei?
“Sicuramente la delegazione del Partito democratico ha conquistato una posizione di leadership all’interno del gruppo socialista, perché sarà la più numerosa. Ma sappiamo già che Schlein non andrà all’Europarlamento, come anticipato da lei in campagna elettorale. Da questo punto di vista la sua candidatura non ha avuto molto senso, è stato un passo falso: non sembra che il suo nome come capolista abbia prodotto una spinta incisiva”.
Al momento la presidente uscente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, è lo spitzenkandidat del Ppe. A caldo ha parlato di “vittoria”, chiarendo: “Noi tutti vogliamo un’Europa forte e capace. In questi tempi turbolenti, abbiamo bisogno di continuità. Vogliamo proseguire sulla strada con tutti coloro che sono pro-Europa, pro-Ucraina e pro-Stato di diritto”. Lei vede più continuità o rottura rispetto al passato?
“Questi risultati in realtà rafforzano Ursula von der Leyen, mentre negli ultimi tempi si era ipotizzata una sua possibile sostituzione come candidata alla presidenza dell’unione. Ricordiamo anche che, nella precedente elezione, lei non era stata neppure una delle candidate ufficiali, ma il suo nome era uscito solo in un secondo momento, su indicazione del consiglio, dunque dei capi di Governo europei. Difficile prevedere cosa accadrà, ma sicuramente siamo tornati a una situazione in cui è candidata in pectore. In ogni caso non credo ci siano da aspettarsi scossoni in Europa sui temi principali”.
Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha affermato che Mosca monitora “attentamente” l’ascesa dei partiti di estrema destra in Europa e in particolare in Francia dopo le elezioni europee, parlando di “maggioranza pro-europea e pro-ucraina”, ma aggiungendo che “possiamo vedere lo slancio dei partiti di destra che guadagnano popolarità”. Per il presidente della Duma, Vyacheslav Volodin, il presidente francese e il cancelliere tedesco Scholz “in guerra contro i loro interessi, hanno perso miseramente”…
“Nei rapporti con la Russia, stando anche alle recenti dichiarazioni su supporto all’Ucraina, non credo ci siano da aspettarsi cambi di relazioni, non cambierà nulla. Von der Leyen ha parlato di un’accelerazione delle procedure di adesione dell’Ucraina all’Ue, ma non sembrano prevedibili appunto svolte improvvise. Quanto al peso europeo nelle sorti della guerra è molto marginale”.
Guardando agli Stati Uniti, invece, cosa ci si può aspettare nei rapporti dal momento che anche lì si voterà tra pochi mesi?
“Sul piano economico l’Europa continuerà a essere un interlocutore importante per gli Usa, a prescindere dall’esito di questo voto e di quello delle presidenziali statunitensi. Diverso è il discorso da un punto di vista politico e ideologico. L’America, a prescindere da chi vincerà a novembre, fa e farà i propri interessi, sia con Biden sia con Trump, come tutte le grandi potenze. L’Europa non lo è, quindi marcerà compatta solo per quanto riguarda gli aspetti economici, perché questa è la sua forza: può contare su poco meno di 500 milioni di consumatori e abitanti, che sono cittadini integrati solo dal punto di vista economico”.
Tornando in Italia, un rapido sguardo alle amministrative: come cambiano i rapporti di forza, se cambiano, all’interno della maggioranza e nei rapporti di forza con l’opposizione?
“In realtà è ancora presto per poterlo dire. Dopo il primo turno elettorale, e in attesa dei ballottaggi, pare che il centrosinistra possa ottenere dei buoni risultati, specie nelle grandi città, ma è ancora presto per una valutazione definitiva”.
Un’ultima considerazione, che riguarda l’affluenza: c’è da preoccuparsi di fronte a una partecipazione inferiore al 50%?
“Premesso che l’astensionismo è lo stesso di 10 anni fa, con l’esclusione del voto di 5 anni fa quando c’era stata un’impennata, non credo che il dato in sé sia un dramma. Il problema, però, c’è ed è molto serio. Sappiamo che si astiene soprattutto chi ha meno istruzione, un reddito basso e chi si sente più emarginato. È un problema di democrazia perché non sono rappresentati coloro che hanno le minori risorse.