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Ci sono davvero aumenti nel contratto della scuola per i docenti? Rispondono i dirigenti scolastici

L'Associazione dei dirigenti scolastici critica il contratto della scuola dopo le parole del ministro Valditara: ci sono davvero aumenti?

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Il contratto del personale scolastico per il triennio 2019-2021, firmato nel luglio 2022 per la parte economica, è scaduto da due anni e fa discutere. Ci sono aumenti, con il compenso per gli incarichi assunti dagli insegnanti che passano da 17,50 euro a 19,25 euro l’ora. Peccato che il budget a disposizione di ogni scuola per la retribuzione delle attività extra invece resti invariato. La coperta è sempre quella e, dicono sindacati e associazioni, resta corta: avere lo stesso budget vuol dire retribuire meno ore di straordinario per portare avanti le proprie attività. A meno che i docenti non decidano di lavoraregratis. L’intervista a Paola Bortoletto, presidente dell’Associazione nazionale dirigenti scolastici (Andis).

Le parole del ministro Valditara sul contratto

Circa un mese fa, il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, al termine di un Consiglio dei ministri ha dichiarato che “il primo atto assunto all’inizio del mio mandato a ottobre scorso (2022, ndr) è stato proprio quello di rinnovare il contratto della scuola, che era scaduto nel 2021, con l’impegno a rinnovare in tempi celeri anche il successivo triennio”.

“Grazie allo sforzo dell’intero Governo, la legge di bilancio ha stanziato le risorse necessarie per raggiungere l’obiettivo. Dirigenti, docenti e personale Ata svolgono un ruolo decisivo per la crescita dei nostri giovani e per lo sviluppo del Paese. Le risorse stanziate per il rinnovo del contratto confermano la centralità che la scuola riviste per il Governo nel sistema Italia. Autorevolezza e rispetto passano innanzitutto dal riconoscimento economico”.

valditara contratto scuola docentiFonte foto: ANSA
Giuseppe Valditara, ministro del Merito e dell’Istruzione

Si tratta, ha spiegato in quell’occasione il ministro, di “5 miliardi di euro a decorrere dal 2024 per rinnovare i contratti del pubblico impiego: una parte consistente di tali risorse andrà al comparto istruzione, che conta circa 1,2 milioni di lavoratori. Un risultato di cui, in un contesto finanziario complicato, siamo particolarmente orgogliosi, perché consente di tutelare e valorizzare i salari di tutto il personale scolastico con aumenti significativi, e di farlo in tempi rapidi, come avevamo chiesto”.

L’intervista a Paola Bortoletto

Paola Bortoletto, presidente dell’Andis appena andata in pensione dopo 44 anni di servizio in Veneto (di cui 20 come dirigente scolastico), ha rilasciato un’intervista ai microfoni di Virgilio Notizie, sottolineando che “diventa tutto più difficile, ancora una volta. In un quadro, quello della scuola, fatto di caos, in cui bisognerebbe forse azzerare tutto e mettere ordine”.

Qual è il vostro bilancio sul nuovo contratto per la scuola? 

“È un contratto che ancora non è attivo ed è in ritardo di due anni, perché è quello del 2019-21. Fino ad adesso avevamo il 16-18. Ci sono delle novità che hanno una ricaduta in parte positiva e in parte negativa anche per noi come dirigenti: in particolare le modifiche legate alla formazione. Sulla formazione si continua a parlare di diritto-dovere dei docenti e del personale ATA, però tutto deve rientrare nell’orario di servizio e fuori dell’orario di insegnamento, quindi sempre dentro le famose 40 + 40 ore funzionali. Se si sforano le ore diventa straordinario da pagare. Con quali soldi?”.

Quindi l’aumento del compenso orario non è una buona notizia? 

“Ci sono dei piccolissimi aumenti rispetto alle ore aggiuntive retribuite per la progettazione o per ulteriori ore di insegnamento, però i fondi che arrivano dal ministero sono sempre gli stessi: quindi bisogna riadattare le ore, programmare bene. Il contratto arriva poi ad anno in corso, molte iniziative sono partite e non si sa bene come pagarle. C’è una contrattazione in bilico e quindi si sta ragionando: non si possono costringere i docenti a lavorare gratis”.

E il ritardo di due anni da cosa dipende? 

“Da tanti fattori, in ultimo dalla pandemia che ha fatto saltare le scadenze e rallentato ancor di più la situazione. Il contratto mette insieme gli aspetti generali di gestione e di remunerazione. Ci sono piccoli segnali in avanti anche per far sì che i e le giovani si riavvicinino a una professione che secondo me è la più bella del mondo, però bisogna che venga valorizzata. Altrimenti c’è il rischio che le persone si allontanino alla ricerca di qualcos’altro. I docenti di tutti i gradi ormai sono nella quasi totalità dei casi laureati. La formazione iniziale poi deve essere fatta in un certo modo. C’è una legge dell’anno scorso che ridisegna anche per la secondaria di primo e secondo grado l’accesso alla professione, però ancora stenta a decollare perché ci vogliono i decreti attuativi, perché c’è la situazione intermedia di quelli che hanno fatto un po’ di anni di precariato. Insomma c’è veramente un caos. Sarebbe necessario arrivare a un punto di azzeramento e ripartire”.

La precarietà nella scuola è quasi la norma?

“Siamo pieni di precari – a proposito dei giovani che non si avvicinano alla professione – che non vengono neanche più presi dalle graduatorie, ma dalle MAD, la Messa a disposizione. E questo porta ad avere ricadute sulla qualità e la continuità della formazione dal punto di vista pedagogico, educativo e formativo”.

Quanto è ancora attrattiva questa professione? 

“Scienze della formazione primaria è un canale privilegiato per gli insegnanti della scuola dell’infanzia e primaria già a partire dagli anni 2000 e lì abbiamo sempre un bel bacino di persone. Che però non sono sufficienti, perché c’è la partita enorme del sostegno, che ha bisogno di personale specializzato, che deve aggiungere ulteriore formazione, i famosi TFA sostegno. Il personale specializzato non c’è e dobbiamo attingere al personale di scuola comune. E poi nella secondaria di primo e secondo grado – la riforma ancora non è partita – i professionisti sono laureati nella loro disciplina (matematica, lingue, eccetera) ma non hanno il canale privilegiato nella professione insegnante. Possono accedere, ora con la riforma i crediti formativi sono arrivati a 60. E lo capisco un matematico che, se trova lavoro altrove, nel privato e nelle aziende, magari prende una supplenza ma poi va via. Ci sono tante persone giovani, piene di idee, vicine ai ragazzi e alle ragazze, che vanno a lavorare altrove”. 

E il divario Nord-Sud?

“Noi siamo un’associazione con più di 1000 iscritti in tutta Italia e abbiamo un osservatorio privilegiato. Ci sono realtà molto diverse. Non c’è solo il Sud, ma anche le periferie delle grandi città o le zone di montagna con tanti comuni sparsi. Al Sud si stanno investendo molti soldi. I fondi del Pnrr sono una scommessa enorme e sono tanti proprio per innovare e rinnovare gli ambienti, per il digitale e per tutto quello che abbiamo visto carente in pandemia. Noi siamo un ente formativo e sosteniamo i colleghi che vogliono formarsi. Ma è una scommessa difficile soprattutto in una situazione in cui si fa un passo in avanti e due indietro e non c’è nessuna chiarezza. Avremmo bisogno di stabilità e non di dichiarazioni. Gli studenti hanno bisogno di continuità e non di proclami”.

Lo sciopero di venerdì 17 novembre

Nel frattempo, il mondo della scuola ha preannunciato che venerdì 17 novembre scenderà in piazza.

Le ragioni dello sciopero sono state riassunte dall’Unione sindacale di base.

contratto-scuola Fonte foto: ANSA
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