Caso Emanuela Orlandi, la nuova teoria: per Nicotri non fu rapimento ma violenza in famiglia
C'è una nuova teoria sul caso Emanuela Orlandi. La ragazza scomparsa nel 1983 non sarebbe vittima di un rapimento ma di violenza familiare, tutte le novità
C’è una nuova teoria sul caso Emanuela Orlandi, la ragazza di 15 anni scomparsa il 22 giugno 1983 a Roma, mentre rientrava a casa dopo le lezioni di musica, e collegato a quella di un’altra adolescente romana, Mirella Gregori, scomparsa il 7 maggio 1983. Secondo il giornalista e scrittore Pino Nicotri, la ragazza non fu rapita ma vittima di un caso di violenza familiare.
- Da dove nascono le nuove teorie sul caso Emanuela Orlandi
- La novità: no rapimento, si guarda in famiglia
- L'alibi dello zio
- Le altre piste
Da dove nascono le nuove teorie sul caso Emanuela Orlandi
A tornare sul caso Orlandi è Pino Nicotri che avanza una nuova ipotesi sulla base degli elementi emersi in seguito all’audizione della Commissione d’inchiesta parlamentare costituita nella giornata di giovedì 10 ottobre per far sulla scomparsa delle due ragazze.
Gran parte di tale audizione, durata 3 ore, è stata secretata. Lo scrittore è un esperto del caso e ha curato diversi libri sull’argomento.
Il fratello di Emanuela, Pietro, in uno scatto del 2013
La novità: no rapimento, si guarda in famiglia
“Emanuela Orlandi non fu rapita. Fu un normale caso di violenza, una prepotenza finita male di un membro del cosiddetto giro amical-familiare. Potrebbe essere stato un amico di famiglia, un cugino, uno zio”, questo l’assunto di Pino Nicotri sul caso.
Secondo lui, un ruolo determinante è da attribuire proprio allo zio della ragazza, Mario Meneguzzi. Il suo alibi sulla giornata del 22 giugno 1983 sarebbe infatti debole.
Secondo quanto riportato, l’uomo si trovava a Torano a una novantina di km “che si possono fare comodamente in autostrada” da Roma. Ma il giornalista si chiede davvero se si trovasse lì. “Dove stava quest’uomo? Nessuno ha chiesto in maniera seria ai parenti dove stava Mario Meneguzzi”, dice Nicotri.
L’alibi dello zio
“Meneguzzi fu interrogato da Sica sui suoi alibi due anni dopo ma non lo deve avere convinto perché lo ha fatto pedinare, poi la memoria dei familiari diventa, diciamo, accomodante. Non dico che le testimonianze dei familiari siano fasulle, diciamo smemorate“, prosegue.
Inoltre viene riportata una conversazione avuta al telefono dallo stesso con l’avvocato Gennaro Egidio che non sarebbe stato sorpreso della “scarsità di indagini nei confronti del Meneguzzi”.
Quando insomma Nicotri parla di un possibile coinvolgimento della sua famiglia nella scomparsa di Emanuela Orlandi si riferisce soprattutto a suo zio.
Le altre piste
Un altro tema che il giornalista solleva è quello della grande esposizione mediatica che ha avuto la vicenda di Emanuela Orlandi e che ha offuscato le ricerche sul caso.
“Si è scatenata la mitomania, ma non è un complotto. L’ipotesi più semplice è quella che viene eliminata e ricordo che non è mai stata fornita una prova del rapimento”, ha detto.
Infine, lo stesso Nicotri ha mostrato scetticismo sulla pista londinese in quanto una grafologa avrebbe dimostrato che “la presunta firma dell’ex arcivescovo di Canterbury George Carey” in calce a una lettera inviata al vicario di Roma Ugo Poletti nel 1993 sarebbe “una firma falsa reperita su Google da documenti veri firmati”.