Caritas, la pandemia crea nuovi poveri: boom di donne e giovani
La pandemia ha avuto come effetto quello di normalizzare la povertà. Ne parla a Virgilio Notizie Federica De Lauso, ufficio studi della Caritas
“Rimaniamo distanti oggi per abbracciarci con più calore, per correre più veloci domani”. Con queste parole il presidente Giuseppe Conte annunciava, a marzo, le misure restrittive che hanno di fatto “chiuso” l’Italia per diversi mesi. Provvedimenti che, già si immaginava, pur essendo necessari dal punto di vista sanitario avrebbero avuto delle conseguenze forti sull’economia del Paese nei mesi e negli anni a venire.
Presto detto. Il rapporto Caritas “Gli anticorpi della solidarietà”, pubblicato ad ottobre in occasione della Giornata mondiale di contrasto alla povertà, fotografa una situazione preoccupante in cui la pandemia è intervenuta in un contesto già fortemente compromesso. Il risultato è l’aumento delle persone che vivono in condizioni di povertà.
In vista dell’anno nuovo in cui, grazie alle vaccinazioni, dovrebbe essere possibile archiviare in parte l’emergenza sanitaria, VirgilioNotizie ha provato a indagare sull’attuale situazione economico-sociale italiana, per capire da dove occorrerà ripartire per ricostruire un Paese provato fortemente dal Covid-19 e che non si mai ripreso del tutto dalla grande crisi del 2008. Le crisi così si sommano creando un quadro tutt’altro che rassicurante.
La nostra “guida” è stata Federica De Lauso dell’Ufficio Studi della Caritas, tra le curatrici del rapporto, che ci ha aiutato a fare chiarezza sui dati raccolti.
Dottoressa De Lauso, come è stato elaborato il rapporto Caritas? Cosa emerge dai dati?
Il rapporto si basa sui dati di tre rilevazioni nazionali fatte in tempi diversi per capire gli effetti sociali ed economici della pandemia. La prima rilevazione è stata fatta ad aprile, in pieno lockdown; la seconda a giugno, nel corso della riapertura delle attività; la terza a settembre. Siamo così riusciti a fotografare due momenti diversi. Non c’è dubbio sul fatto che quella del lockdown abbia causato gli effetti maggiori.
Anzitutto emerge un incremento di richieste di aiuto: alla Caritas sono arrivate 450mila persone (tra nuovi e vecchi assistiti). Il dato è sottostimato perché riguarda il 68% delle diocesi e va anche considerato che dietro la richiesta del singolo c’è quasi sempre quella di una famiglia. Ad emergere è stata anche l’Italia del lavoro in nero, ovvero di tutte quelle persone che si arrangiavano con dei lavoretti e che con la chiusura si sono dovute fermare. Si aggiunge infine il mondo delle casse integrazioni e dei lavoratori precari che non hanno visto rinnovarsi il loro contratto di lavoro.
Qual è la maggiore istanza sociale?
Lavoro, disoccupazione e precariato sono temi centrali. Tante persone quindi sperimentano inevitabilmente difficoltà con il pagamento delle bollette e dell’affitto, nell’acquisto dei beni materiali, alimentari, farmacia, sanità. Si arriva fino all’assistenza domiciliare e al supporto psicologico. C’è poi anche tutto il filone delle fragilità legate alle persone senza dimora e delle persone “non occupabili”.
La povertà ha mille sfaccettature. Il grosso lo fa la mancanza di reddito ma c’è anche dell’altro. Ci sono delle fragilità di tipo familiare, psicologico o legate alla disabilità. La priorità che è emersa durante il lockdown è la perdita del reddito, ma le storie sono sempre complesse. Vanno considerati i diversi periodi, quello di lockdown e la “ripresa” del periodo estivo. È chiaro che se in primavera la chiusura totale aveva riguardato l’Italia nella sua interezza, quello che andrà indagato nei prossimi mesi sono gli effetti alla luce delle differenze territoriali e di zona (rossa, arancione, gialla). Bisognerà attendere anche lo sblocco dei licenziamenti e l’interruzione della cassa integrazione.
C’è differenza tra chi viveva già in una condizione di povertà e chi invece si è ritrovato a dover fronteggiare una condizione nuova?
Coloro che vivevano una condizione di povertà hanno visto peggiorare la loro situazione. Nell’ultimo dei tre monitoraggi abbiamo fotografato la situazione dei mesi estivi durante i quali c’è stato un calo di richieste di aiuto. Il dato si è più che dimezzato, complice il fatto che le attività economiche hanno in qualche modo ripreso, così come la stagione turistica. Questo calo però deve essere interpretato con molta cautela visto che nel periodo estivo abbiamo assistito come Caritas ad un decremento degli accessi. Inoltre, se confrontiamo gli ingressi ai centri di ascolto dell’anno 2020 con quelli dello scorso anno (2019) si nota comunque un incremento delle domande di aiuto: siamo passati dal 31% al 45% dei nuovi poveri. In sintesi: tra maggio e settembre 2020 quasi un povero su due è un povero che non conoscevamo nel 2019.
Chi sono i nuovi poveri? Come è cambiato il profilo?
Ad aumentare sono soprattutto donne e giovani. I giovani sono spesso impiegati in lavori precari e quindi meno tutelati. Stanno costruendo il loro futuro, ma gli effetti della crisi del 2008 sono visibili ancora oggi; l’Italia era già un Paese che cresceva pochissimo, eravamo in un’economia praticamente stagnante.
Per quanto riguarda le donne invece ci sono vari fattori da considerare. Il lavoro: partono certamente svantaggiate rispetto agli uomini. Per loro c’è in generale meno lavoro, pagato meno, hanno meno possibilità di fare carriera. In prevalenza sono poi occupate soprattutto in alcuni settori tra i più colpiti dagli effetti della pandemia, vedi il settore turistico. Occorre poi sottolineare che spesso le donne sono anche portavoce delle istanze familiari. Notiamo soprattutto tra le donne una situazione di burnout: sono mamme, sono lavoratrici, devono gestire situazioni familiari complesse e i ragazzi rimasti a casa con la didattica a distanza. Si deve poi aggiungere che in questo periodo di emergenza c’è stato anche un incremento delle violenze in famiglia.
La pandemia si innesca in una situazione già compromessa e ha avuto, in definitiva, come effetto quello di normalizzare la povertà, soprattutto nelle famiglie. E questo spaventa.
Perché spaventa?
Perché gli effetti di questa nuova crisi sono molto simili a quelli del 2008. Con la differenza che il punto da cui partiamo è estremamente più compromesso di quanto non fosse nel 2007. Basti pensare che stando ai dati Istat prima della pandemia si contavano già 4.6 milioni di poveri a fronte dell’1.7 del 2007. Bisognerà adesso capire l’evoluzione sia dell’aspetto sanitario che di quello economico e mettere già in conto la recessione almeno fino al 2022, che bloccherà la crescita economica e il Pil.
Come giudica le iniziative politiche intraprese finora in materia di contrasto alla povertà?
Negli ultimi anni ci sono state diverse misure di contrasto alla povertà che si sono succedute. Nel 2016 è stato istituito il SIA (Sostegno inclusione attiva) poi tramutato in REI (Reddito di inclusione); nel 2019 è stato introdotto il Reddito di cittadinanza che ha ampliato notevolmente la platea dei beneficiari. Il RDC è sicuramente necessario per contrastare la povertà, tanto più in una condizione di profonda recessione come quella attuale. Presenta tuttavia alcune criticità, che dovrebbero essere affrontate anche investendo sul monitoraggio e sulla valutazione. Ad esempio il fatto che è una misura che penalizza le famiglie numerose (per questioni legate alla cosiddetta scala di equivalenza), gli stranieri e i poveri residenti nelle regioni del Nord Italia.
Rispetto alle misure emergenziali specifiche di questo tempo, fa riflettere come il take-up del reddito di emergenza (REM) la misura a supporto di coloro che non potevano disporre di altre forme di aiuto sia stata pari solo al 41%. Questo è legato in primis alla scarsa informazione e alla complessità delle procedure necessarie per accedervi. La mancanza di uno sforzo informativo si è saldata poi con la confusione creata dalla molteplicità di prestazioni anti-crisi erogate che non hanno aiutato a comprendere a chi fosse, di fatto, rivolto il REM.
Se dovesse indicare una priorità per migliorare ciò che già esiste, cosa direbbe?
Occorre maggiore chiarezza rispetto alle misure disponibili e anche maggiore tempestività; ricordiamo in tal senso i gravi ritardi della cassa integrazione. Le misure di contrasto alla povertà vanno sempre accompagnate da un controllo capillare, da una corretta comunicazione e dall’orientamento. E non sempre è così. Ad esempio, nel periodo di lockdown accedere ai CAF non era facile. Non a caso nel periodo tra marzo e maggio le Caritas diocesane hanno supportato circa 27mila famiglie in termini di orientamento e informazione rispetto alle misure messe in atto dalle amministrazioni locali e dal governo. A volte le persone fanno fatica ad orientarsi e sono costrette a camminare nel buio.