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CRONACA NERA

Alessia Pifferi accusa la polizia durante il processo: "Mi hanno intimidita, costretta a dire cose diverse"

Alessia Pifferi accusa la polizia di averla intimidita "per farmi dire a tutti i costi qualcosa che non era". Il video in aula

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Luca Mastinu

GIORNALISTA

Giornalista pubblicista, scrive di cronaca nera e attualità. Muove i primi passi nel fact checking per poi appassionarsi al mondo dell'informazione. Collabora con altre testate e siti web, esperto di musica.

Non si fermano le accuse che Alessia Pifferi, a processo per la morte della figlia Diana, rivolge a chiunque dall’aula. Un’aula nella quale si dichiara già condannata all’ergastolo per il solo fatto di aver perso sua figlia, dalla quale respinge l’etichetta di "mostro" e "assassina", parole arrivano principalmente – secondo lei – dalle altre detenute del carcere di San Vittore.

Quando non punta il dito contro la famiglia, specialmente contro la madre colpevole – secondo la sua dichiarazione spontanea – di non averle garantito il giusto sostegno durante gli anni della scuola dell’obbligo, l’imputata si scaglia contro la polizia, nello specifico contro gli agenti che si erano occupati di lei nel momento dell’arresto.

L’accusa la incalza: "Questa è una sua affermazione?". "No, questa è la verità. Fui messa sotto accusa molto fortemente", risponde Alessia Pifferi. Nello specifico: "Volevano farmi dire a tutti i costi qualcosa che non era". Ovvero? "Come se io avessi messo la bambina già morta nel letto, quando non è così". Secondo la sua versione, gli inquirenti l’avrebbero messa sotto pressione con l’intento di farle dire di aver ucciso materialmente la bambina. Parole alle quali l’accusa non crede. "Mi mettevano ansia", continua Pifferi, e l’accusa continua: "Non aveva la stessa ansia quando ha lasciato sua figlia per sei giorni da sola?".

Fonte foto: ANSA

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