13enne investito in strada vicino Verona, parla il conducente: "Preferirei essere morto io al suo posto"
Il racconto dell'uomo che ha investito e ucciso il tredicenne Chris Obeng Abom a Negrar, vicino Verona, nella serata di lunedì 31 luglio
L’uomo di 39 anni che lunedì 31 luglio ha investito e ucciso il tredicenne Chris Obeng Abom ha raccontato la sua versione dei fatti e rivelato l’intenzione di scrivere una lettera alla famiglia del ragazzino.
- Cosa è successo a Negrar
- Il racconto dell'investitore
- La difesa
- La lettera alla famiglia della vittima
Cosa è successo a Negrar
L’investimento è avvenuto nella serata di lunedì 31 luglio a Negrar, in Valpolicella. Il 39enne, che si trovava a bordo dell’automobile intestata alla madre, è indagato a piede libero con le accuse di omicidio stradale e omissione di soccorso, perché dopo l’investimento si è allontanato senza prestare soccorso al tredicenne (per il momento gli unici provvedimenti adottati nei suoi confronti sono stati il ritiro della patente e il sequestro del veicolo).
È passata un’ora e mezza prima che qualcuno si accorgesse del ragazzino investito e chiamasse i soccorsi. Chris Obeng Abom è morto martedì 1° agosto all’ospedale di Verona.
L’investimento è avvenuto a Negrar, in Valpolicella, vicino Verona.
Il racconto dell’investitore
Il trentanovenne ha raccontato al ‘Corriere della Sera’: “Lunedì sera sono uscito di casa per incontrarmi con un cliente per discutere una questione di lavoro. (…) Ho percorso quella strada in località San Vito dove non c’è illuminazione e neppure il marciapiede. (…) A un certo punto, in quel buio, ho sbattuto contro qualcosa. Pensavo un cartello stradale, perché poco lontano ce n’è uno tutto accartocciato. Io il ragazzo non l’ho proprio visto: né prima, né durante, né dopo l’incidente”.
L’investitore ha raccontato di essere sceso dall’auto dopo l’impatto: “Mi sono fermato, sono sceso e mi sono guardato intorno. Niente. Non ho visto nulla di nulla”.
Il tredicenne era finito in un vigneto che costeggia la strada e che si trova un metro più basso rispetto al livello della carreggiata. Il 39enne ha detto: “C’è l’erba alta e, a quell’ora, buio pesto. Io ho guardato pure in quella direzione e non si vedeva niente e neppure ho sentito qualcuno lamentarsi o chiedere aiuto. Per questo sono risalito in auto”.
La difesa
L’investitore, con precedenti per droga e per guida in stato di ebbrezza, ha poi assicurato: “Non avevo assunto alcuna sostanza e non ero neppure al telefonino. La faccenda della droga nasce da una denuncia infondata e infatti l’accusa è caduta nel nulla. Per la guida in stato di ebbrezza, invece, si tratta di un errore di gioventù: avevo 20 anni”.
La lettera alla famiglia della vittima
Nell’intervista al ‘Corriere della Sera’, il 39enne ha anche detto: “Non mangio, non dormo. Non riesco a fare altro che ripensare a quel che è successo. Mi ripeto nella testa: era solo un ragazzino! Credetemi se dico che preferirei essere morto io al suo posto“.
E ancora: “Non sono scappato: io quel ragazzino non l’ho proprio visto. Ma le pare che se mi accorgevo di aver investito una persona, poi me ne andavo via come niente fosse?”.
Infine, ha rivelato l’intenzione di contattare la famiglia della vittima: “Ho deciso che scriverò loro una lettera e la darò al mio avvocato perché la consegni. Scriverò che mi dispiace. E che non l’ho fatto apposta a lasciare solo il loro bambino”.